Leggendo questo articolo del Guardian piuttosto interessante sulle peculiarità dell’attuale panorama editoriale tra digitale e self publishing, ho meditato sule differenze esistenti tra editori specializzati in (o che comunque si occupano di) didattica e chi invece pubblica soprattutto narrativa. Differenze che concorrono a definire un modello di business e dinamiche editoriali molto diverse.
Ecco quelle che mi sembrano le più significative:
1- L’editore didattico non si basa (o si basa ancora poco) sulle librerie online
Questo comporta un’attenzione minore verso il canale online, mentre rimane privilegiata la libreria fisica (o il mercatino dell’usato, ma questo è un altro tema); tuttavia interessante il progetto Scuolabook, in pratica la prima libreria digitale italiana di editoria scolastica in cui convergono più editori specializzati.
Inevitabilmente, con la direttiva Gelmini sui contenuti misti, gli editori didattici si stanno comunque organizzando autonomamente, trasformando i loro siti in portali di apprendimento, con approfondimenti online e materiale scaricabile, se non addirittura embrioni di piattaforme didattiche (vedi soprattutto Mondadori, ma anche Zanichelli e Giunti si muovono in fretta) dove i contenuti del libro sono presentati e utilizzati in modo più flessibile rispetto al cartaceo.
2- Ha un contatto molto più diretto con il suo pubblico, che poi semplice pubblico non è, trattandosi di docenti e/o studenti.
La relazione tra l’editore didattico e la comunità di chi adotta o utilizza i suoi libri è molto diversa da quella che intercorre tra chi pubblica narrativa e i lettori; questo perché i docenti non sono semplici lettori. I libri, nel caso della scuola, diventano veri e propri strumenti di lavoro e, come tutti gli strumenti, se non funzionano vengono messi da parte, spesso senza troppi scrupoli, dato che l’offerta – e quindi la scelta – è sempre più ampia. Gli insegnanti, sia detto per inciso, dialogano spesso con gli editori, scrivono mail per complimentarsi con entusiasmo o criticare anche molto severamente.
3- I contenuti sono circoscritti alle materie di apprendimento
Importante il fatto che l’editore di didattica vede il proprio raggio d’azione limitato alle materie scolastiche e deve concentrare tutta la sua abilità nel trovare la formula giusta per presentare contenuti non nuovi nella maniera più originale, didatticamente efficace e innovativa possibile (ma non troppo, per non scandalizzare l’establishment scolastico da sempre tradizionalista).
A sua volta, paradossalmente, ha a disposizione, molto più dell’editore di narrativa, strumenti e opportunità per sperimentare: non è un caso che, dai tempi delle audiocassette e dei videocorsi per arrivare ai cd-rom e ora al web, è sempre nella didattica che si intraprendono prima nuove strade per l’erogazione dei contenuti su diversi supporti e attraverso nuove modalità (in senso quindi non solo multimediale, ma anche multimodale).
4- Nella didattica, il marchio editoriale ê più brand dell’autore (salvo rari casi)
Quest’ultimo punto è più importante di quanto si pensi, a mio parere; nella narrativa, è noto, il brand è l’autore, non l’editore: se un domani Umberto Eco decidesse di autopubblicarsi o di passare alla casa editrice indipendente di un suo amico, venderebbe ugualmente, se non di più.
Questo perché il lettore segue l’autore, non certo la casa editrice che lo pubblica. Nella didattica questo non accade, se non in maniera molto minore e in rari casi (il luminare che pubblica un libro di testo può essere uno di questi): l’insegnante si fida il più delle volte della casa editrice, di cui conosce i materiali didattici senza necessariamente ricordare i nomi di chi li ha scritti (se non per chiamare i testi in modo convenzionale col nome degli autori).
Questo porta a una considerazione finale sul self publishing nella didattica: esiste? Ha un futuro? In questo senso ancora il panorama è molto da definire, tante sono le soluzioni per ora individuate: dai Free Educational Content, cioè i materiali didattici autoprodotti e condivisi all’interessante portale di OilProject; dall’esperienza (anche discussa, in quanto in effetti discutibile) di Book in Progress a quella, molto diversa e sicuramente più innovativa di Dianora Bardi (qui la mia intervista con lei e qui il suo centro studi).
Anche l’editoria scolastica e didattica in generale sta evidentemente cercando il modello di business, ammesso che ce ne sia solo uno; l’impressione è che la complessità dello scenario, la peculiarità dei contenuti e del contesto a cui sono rivolti renda tutto molto difficile da interpretare, ma credo anche più interessante e stimolante da sperimentare, e chissà che proprio dalla didattica non possano venire idee e formule nuove e vincenti anche al di fuori dell’ambito della scolastica.