Il 2012 si concludeva con questa intervista ad Antonio Calvani su Pubblico che lasciava perplessi un po’ tutti. Il titolo infatti era: “Solo demagogia, il digitale a scuola non migliora l’apprendimento” il che, detto da un docente di Metodi e Tecnologie educative, suona in effetti a dir poco incoerente. Anche se poi il testo dell’intervista risulta meno asseverativo e provocatorio del titolo (come accade spesso con i quotidiani), l’assunto centrale del professor Calvani è che, ad oggi, “la ricerca educativa basata su evidenza mostra ormai da decenni che in termini di efficacia dell’apprendimento i risultati sono assai modesti”, se non controproducenti.
La domanda che però avrei voluto fosse toccata nell’intervista è: di che apprendimento parliamo? Cosa intendiamo, cioè, per “apprendimento”? Mi è venuto prontamente in soccorso questo bel post di Gianni Marconato che replica in modo molto argomentato alle affermazioni di Calvani e traccia un “endecalogo” sul discusso rapporto tra didattica e tecnologie. Riporto alcuni punti che mi sembrano particolarmente significativi, ma come sempre va letto l’intero post:
– Si è confuso l’utilizzo delle tecnologie con l’innovazione della didattica; le due dimensioni non hanno alcuna correlazione. Usare le tecnologie anche a scuola è un “banale” processo di adattamento all’evoluzione degli strumenti che la tecnica ci mette oggi a disposizione;
– L’uso delle tecnologie digitali a scuola è un dovere per la scuola stessa e per gli insegnanti: in tutto il mondo al di fuori dalla scuola si usano le tecnologie; non farlo a scuola significherebbe segnare ancor più la lontananza della scuola dalla società;
– Più che di “innovare” l’istruzione, credo sia più utile parlare di rendere maggiormente efficace l’istruzione;
Si arriva poi al tipo di apprendimento a cui si dovrebbe mirare:
Le tecnologie non rendono più facile l’apprendimento perché il loro utilizzo appropriato obbliga gli studenti a pensare in modo più “duro”, ad utilizzare differenti processi di pensiero in modo sistematico, finalizzato.
Su specifici processi cognitivi che sostengono l’apprendimento, cito la teoria della flessibilità cognitiva (la forma di pensiero che sostiene la comprensione di domini di conoscenza complessi ed il problem solving) e la declinazione operativa degli ipertesti per la flessibilità cognitiva.
A questo punto, sarebbe facile fare il solito sillogismo: articolo poco approfondito= articolo di giornale vs. riflessione argomentata (e accompagnata da commenti molto puntuali, come quello di Luigi Parisi (qui il suo blog, per inciso) = blog curato da esperto in materia.
In effetti sarebbe un (cattivo?) pensiero difficile da smentire, se non ci fossero anche articoli come questo su Repubblica di un paio di giorni fa, in cui Franco Marcoaldi intervista Carlo Ossola, critico letterario e docente al Collège de France: non si parla tanto di tecnologia quanto piuttosto di un modo di apprendere critico e di insegnamento e apprendimento come “lavoro comune”, un processo insomma non erogativo ma condiviso. Parole che somigliano molto a quelle della cosiddetta “intelligenza connettiva” e in generale richiamano le potenzialità che le nuove tecnologie possono offrire per dare un loro contributo in questa direzione.
E’ ovvio che bisogna partire dalla pedagogia e da un nuovo modo di porsi di fronte alla materia e agli studenti: lo si dice chiaramente anche in questo articolo sul Sole 24 Ore, dove poi la parola viene data agli editori specializzati, i quali dichiarano (ovviamente, direi, visti gli interessi in gioco) la non incompatibilità tra carta e digitale, ribadendo uno dei concetti chiave della cosiddetta didattica 2.0 in cui “non contano tanto le conoscenze e le competenze individuali, ma il mettere insieme i saperi per costruire un’intelligenza condivisa”.
Infine, un link che solo apparentemente può sembrare poco attinente al tema: il pensatore Fernando Savater parla su L’espresso di questa crisi mondiale e del modo in cui possiamo affrontarla: al primo posto c’è l’istruzione, necessaria, se non indispensabile, per capire e analizzare le nuove dinamiche dei tempi e dominarle, invece che esserne succubi.
Mi piace pensare che in questo possiamo e dobbiamo far uso anche delle tecnologie. Senza demagogia, ma anche senza eccessiva diffidenza . Voi che ne pensate?
Per altri articoli sull’argomento, qui la sezione sulla didattica e le tecnologie di questo blog.