Digressione

Marco Ferrario, bookrepublic, editoria digitale: cosa è cambiato dopo 3 anni?

A quasi tre anni di distanza da una delle mie “chiacchierate editoriali” con Marco Ferrario (qui il link), il mio socio Salvatore Nascarella ha intervistato il CEO di Bookrepublic. Dal 2010 a oggi molti bit, molti ereader e molti ebook sono passati sotto il ponte dell’editoria digitale: risulta quindi interessante verificare le differenze e le analogie tra le due interviste, cosa è cambiato e quanto, in un paese ancora piuttosto impermeabile alla lettura su supporto non cartaceo.
L’intervista autentica è nel sito Sail4sales, la riporto qui per comodità. Buona lettura.

Dopo una vita trascorsa in Mondadori ad occuparsi di libri, internet e new media, retail, periodici e formazione ha lasciato il gruppo nel 2008 con due desideri: diventare imprenditore e dedicarsi (come si dice, anima e corpo) all’editoria digitale. Per questo è nata Bookrepublic che ha fondato insieme a Marco Ghezzi nel 2010. Da allora Bookrepublic è diventato uno dei principali distributori e libreria di ebook italiani. Abbiamo lanciato 40K e Emmabooks, due imprint nativi digitali che spaziano dalla pubblicazione diretta di ebook al selfpublishing, abbiamo avviato Zazie, una community per lettori e organizzato in Italia e all’estero IfBookThen, una delle conferenze sull’editoria digitale più apprezzate al mondo.

Editoria digitale e tradizionale: perché si continua a contrapporle?
La verità è che questa contrapposizione interessa soprattutto gli addetti ai lavori, perché le diversità riguardano soprattutto il processo produttivo, distributivo e commerciale; passare da un contesto a un altro significa cambiare modo di lavorare, competenze nuove, cambiamento; in altre parole, probabilità che qualcun altro prenderà il tuo posto nel nuovo contesto. E’ una contrapposizione determinata da una profonda discontinuità nella cultura industriale del mondo editoriale.
Per i lettori, la faccenda è diversa; digitale vuol dire modi e possibilità di leggere in più rispetto a quelli tradizionali. L’esperienza della lettura è arricchita dal digitale; al netto di qualche nostalgia che non deve sorprendere.

Qual è la situazione dell’editoria digitale in Italia?
Nonostante in Italia vi siano una cultura del digitale povera e una politica verso di esso molto disattenta, il percorso di diffusione e di crescita dell’editoria digitale non è molto diverso da quello di altri paesi più avvantaggiati; da noi il mercato è nato più tardi rispetto a USA, Regno Unito e, in minor misura, Germania rispetto ai quali abbiamo un ritardo di qualche anno e la crescita è solo leggermente più lenta.
In parte, bisogna dare merito ai lettori e agli editori italiani di non essere stati con le mani in mano. In gran parte, però, ciò deriva dalla natura globale di questo mercato; la presenza in un mercato dei player globali e la concorrenza che esercitano tra loro e verso i player locali sono un agente di sviluppo cruciale: tra il 2011 e il 2012 l’Italia è diventata territorio di conquista diretta e di battaglia da parte di Amazon, Apple, Google, Kobo e Samsung.

Com’è nata Bookrepublic?
Bookrepublic è nata nel 2010 perché due professionisti quasi veterani dell’editoria hanno ritenuto che fosse in atto una rivoluzione che valeva la pena di essere vissuta fino in fondo e che per fare ciò non ci fossero le condizioni stando seduti dietro a una scrivania dirigenziale nei palazzi di grandi e importanti editori (tradizionali); ed è nata perché alcuni investitori hanno creduto in un’idea che continuano a sostenere.
Sembrerà retorica da Silicon Valley, ma siamo nati in uno scantinato di Viale Montenero 44 a Milano. Le nostre sale riunioni erano un bar e alcune trattorie nella zona.

Cosa è cambiato nelle strategie di marketing di Bookrepublic negli anni?
Tantissimo; in tre anni, moltissime persone si sono avvicinate alla lettura digitale e molta tecnologia ha enormemente arricchito questa esperienza. In una prima fase, in cui la disponibilità di titoli era scarsa, abbiamo lavorato molto sull’interfaccia del nostro store e sui modi per rendere più visibile e attraente possibile il nostro catalogo; poi, quando gli sconti e le promozioni (uguali per tutti) sono diventati fattore cruciale nella relazione con i lettori, abbiamo arricchito la nostra offerta con scelte di qualità, contenuti a servizio del lettore, percorsi di lettura e altre iniziative per differenziaci. Il risultato delle nostre azioni è una percezione positiva di Bookrepublic in rete, una customer base in forte crescita e attiva; oggi siamo prevalentemente concentrati su questa relazione.

Quali strumenti avete usato per sopravvivere in un mercato in cui pesano abbondantemente anche Amazon, Apple e Google?
Abbiamo sempre pensato di dover costruire sul gap tecnologico e di risorse rispetto ai player globali i nostri punti di differenziazione. Dobbiamo ogni giorno stupire i nostri lettori con qualcosa, creare con loro una relazione calda e interattiva e non solo sullo store.
La qualità dell’esperienza di lettura non è data solo dall’eccellenza del servizio, ma anche dal calore e dalla passione che anima il servizio: questo è il terreno su cui noi lavoriamo.

Quali sono gli ostacoli da superare nel vendere ebook?
Occorre uscire dalla logica della standardizzazione dell’offerta e dall’appiattimento sulle promozioni uguali su tutti gli store. E pensare che vendere un ebook sarà sempre di più vendere un’esperienza e non un prodotto.

Per un distributore di editoria digitale, quali sono i criteri per valutare la qualità del servizio offerto?
Siamo usciti dalla fase in cui gli editori andavano tutti presi per mano e accompagnati; ora gli editori sono molto più propositivi e anche esigenti in termini di visibilità e risultati. Quando esce un titolo deve essere immediatamente in vendita su tutti gli store e avere la massima visibilità nella comunicazione che gli store fanno ai propri clienti nella loro home page, nelle newsletter e sui social network: il lavoro del distributore si misura sull’efficacia nell’ottenere questi risultati.

Con la diffusione dell’editoria digitale stanno nascendo nuove figure professionali in area marketing e vendite. Quali avranno, a tuo parere, maggiore spazio nel prossimo futuro?
Fino a poco tempo fa erano le competenze di processo a prevalere perché la priorità era soprattutto la modifica del workflow in funzione di un prodotto digitale o multiformato. Oggi prevalgono quelle di community e content management. La relazione diretta con il lettore non è mai stata al centro dell’attività editoriale. Oggi, invece, si parte da lì.

Di Salvatore Nascarella (@nascpublish)

il mio (primo) ifbookthen – parte seconda

Eravamo arrivati alla pausa pranzo di Ifbookthen Milano (leggi qui)

La sessione postprandiale inizia, opportunamente, con la verve e la vivacità dei due ragazzi di Literary Death lideathmatchMatch, che scuotono la platea con la loro idea di agone letterario in “salsa talent” (definizione copyright: @LunaOrlando) e una gara di spelling d’autore. Una modalità che coniuga la socialità per una volta non virtuale ma fisica e la possibilità di estendere la lettura con altri media e avere una cassa di risonanza originale.

Poi tocca a Kassia Krozser di Booksquare, che esordisce raccontando la sua esperienza di lettrice prima cartacea e via via sempre più digitale (“ma le riviste”, sostiene, “devono ancora trovare la formula giusta”). Secondo Kassia il supporto è una questione di funzionalità: “ci sono libri che dovrebbero essere aggiornati in tempo reale” e chi li usa non può aspettare che esca la nuova edizione: guide di ristoranti e tutta quella manualistica da consultazione su temi e argomenti che facilmente divengono desueti nello spazio di qualche mese. Con Kassia inoltre si parla – finalmente – di attenzione al lettore: la “signora Booksquare” riflette sul concetto di “lettore platonico“, una figura molto cara agli editori, ma molto diversa dal lettore reale (e, aggiunge, gli editori non l’hanno ancora capito). “A quale lettore ci rivolgiamo?” chiede Kassia; “Ci sono molti tipi di lettori e con caratteristiche proprie”: compito dell’editore è individuare e capire queste caratteristiche ed elaborare un catalogo adeguato. L’altra grande parola d’ordine di Kassia è: qualità. La qualità è un valore di cui il lettore deve tenere conto quando pensa al prezzo, perché rappresenta un valore che (purtroppo) non tutti i libri (digitali e non) hanno.

Seguono i 5 “Content Business Model”, da cui traggo alcune riflessioni: la prima è l’impressione che la Germania stia emergendo sia nell’hardware che nel software (tre presentazioni provengono dalla terra di Goethe); la seconda è che le community, i blog e i social network siano entrati di diritto nella filiera del libro e della lettura.

Si parla ancora di qualità con The Rouge Reader, che propone un autore al mese al motto di “In a market of fragmentation, aggregation is power”

Il motto di Bibliocrunch invece è “freelances are che future”; si tratta in pratica di un’agenzia editoriale in grado di confezionare ebook di qualità (ancora lei) utilizzando proprio i freelance, spesso professionisti capaci vittime dei tagli sul personale delle case editrici.

Infine, l’ultimo motto della sessione viene da una biblioteca svedese, Publit, che propone il suo “swedish model”: Ebook as services. Il loro progetto parla da se: “Ebooks are not commodities to trade, they are services that must be licensed on specific terms: this is the Swedish model”. La biblioteca si configura come spazio non solo per il prestito, ma motore immobile (e a contatto diretto coi lettori) per la circolazione dei libri, proposti con un prezzo dinamico e con una tassa sulla distribuzione del 20%. Gli svedesi fanno 1+1, sommando da una parte le competenze  dei bibliotecari, bravi a muovere la backlist, e dall’altra gli editori, bravi nella frontlist. Digitalizzando titoli fuori diritti fanno un servizio prezioso al lettore e valorizzano un patrimonio troppo spesso messo da parte dagli editori stessi.

La giornata si conclude con le riflessioni incrociate di Luca De Biase e Javier Celaya, il quale osserva che editori e start up non si incontrano, mentre invece sarebbe bene che in futuro lo facessero di più; da parte sua De Biase mette l’accento sulla leadership culturale, dandone una definizione ben precisa: “cultural leadership it means understandig what’s going on, participate in the innovation process with all heart and brains and create a vision that has such a momentum that everybody else is going to follow”.

E qui mi fermo, dato che sono dovuto scappare a prendere il treno. Per chi desidera una sintesi più breve ma molto più lucida della mia, rimando all’articolo di Ivan Rachieli su Apogeoline. Se trovate altri articoli su Ifbookthen segnalatemeli, per favore, io in questi giorni non credo di poterlo fare con la dovuta attenzione.

Il mio (primo) ifbookthen

IMG02713-20130319-1220Primo nel senso di vissuto direttamente di persona e per una volta non (solo) attraverso i tweet. Impossibile però riassumere tutta l’intensissima giornata della terza edizione di un evento che proprio quest’anno diventa internazionale e si svolgerà anche in Spagna e Svezia; scopo di questo post sarà quindi fornire degli highlights, le frasi e le fasi che più di altre secondo me hanno offerto spunti di riflessione – anche in diretta, se è vero che spesso i commenti più densi venivano proprio dai tweet dei presenti in sala (quasi tutta piena, per inciso). Si inizia con i dati Nielsen e poi di Giovanni Bonfanti di A.T. Kearney, dai quali veniamo a sapere che l’Italia, con il suo 3% di ereader (domina, e almeno per ora, il Kindle) è anche al di sopra delle previsioni sulla penetrazione della lettura digitale nel nostro paese; che, come prevedibile, per ora tablet e ereader sono giochi per over 25 e che la forbice tra prezzo dei libri cartacei e digitali è destinata ad ampliarsi, dato che questi ultimi tendono a essere sempre più economici. Marco Ferrario completa l’intervento di Bonfanti con un’osservazione degna di nota: sarebbe meglio non parlare più di editoria ma di digitale, cioè un sistema integrato di contenuti e servizi online. I servizi sono i grandi protagonisti di quest’anno, anche se non è certo da quest’anno che si parla di accompagnare i contenuti ai servizi, ma nell’editoria repetita juvant, si sa. Eccoci quindi al primo keynoter, Javer Celaya, che parla soprattutto di data (“the new oil of XXI century”) e di servizi: “le vendite diminuiranno, i servizi hanno i margini maggiori”. Dei cinque tech business model presentati menziono Atavist, una piattaforma di storytelling che ognuno può riempire con i contenuti che preferisce, contenuti che poi vengono adattati ai device usati ( quindi con un tablet ho un tipo di contenuto e con un ereader un altro); lo scopo di Booktype invece è quello di agevolare il workflow e renderlo più fluido così da accorciare i tempi e ridurre le spese a vantaggio anche della qualità. Mobnotate è apparso, a me come a molti, un sistema – magari anche ingegnoso – di cross-promozione in cui si vende (forse) molto ma si legge (probabilmente) poco; Valobox propone un modello di accesso ubiquo al contenuto e di acquisto (e/o fruizione) granularizzato e condivisione sociale al motto “create a million bookstores empowering others to sell your book”. Modello, osserva giustamente il bot di @Apogeo, che potrebbe adottare Amazon qualora aprisse all’usato. Dell’atteso intervento di Bob Stein e del suo progetto Socialbook (che ricorda moltissimo Bookliners) i concetti dominanti sono: Amazon e Apple sono stati utili per traghettare il grosso del pubblico dall’analogico al digitale, ma ora è arrivato il tempo di modelli aperti e di condivisione, che sono i veri e grandi punti deboli dei due colossi.
Suggestiva l’immaginifica visione di Ed Nawotka dell’universo dei data come quello stellare, in cui ciò che possiamo vedere a occhioIMG02715-20130319-1247 nudo sono gli small data (preferisce chiamarli clean data), i quali ci danno uno sguardo d’insieme, mentre se vogliamo analizzare con maggiore attenzione come i contenuti vengono percepiti, ritrasmessi, condivisi soprattutto attraverso i social network dobbiamo usare il telescopio (i big data). Tra i data business presentati c’è anche il progetto italiano Pleens, di cui ho parlato nel corso di una recente intervista con uno dei suoi artefici, Filippo Pretolani aka @gallizio.

Insomma, tra formule riprese un po’ da tutti (keep your fingers happy a valorizzare contenuti dinamici e multimediali), un occhio ai social network e in generale alla modalità social della lettura e grande attenzione (troppa?) su dati e tracciabilità finisce la sessione mattutina di ifbookthen 2013 e anche la prima parte del mio sunto. A presto per la seconda.

Editech 2012: l’editoria e il suo centro di gravità (im)permanente

Non sono stato a Editech, ma come sempre twitter durante e alcuni intelligenti post dopo hanno messo in evidenza le questioni e gli argomenti più importanti emersi. Parto subito dalla sintesi e la riflessione in due parti di Luca Calcinai (la trovi qui), che giustamente nota, come anche era venuto spontaneo pensare a me in un tweet durante le sessioni, che finalmente gli editori parlano la stessa lingua dei lettori, i quali dicevano (dicevamo) le stesse cose già due anni fa e a quanto pare, tra un Ifbookthen, un Ebook Lab Italia e un Librinnovando, le hanno capite anche gli addetti ai lavori.

Permane, condivido il dubbio di Luca, l’interrogativo se poi gli editori e gli esperti del marketing editoriale abbiano mai letto almeno un libro intero in formato digitale, ma magari nel 2013 assisteremo anche a questo, Maya permettendo.

Stando a quanto ho letto, mi sembra quindi che l’edizione 2012 di Editech abbia confermato quel momento di riflessione e quel clima di consolidamento (come dice benissimo nel suo post Noemi Cuffia, alias @tazzinadi) che sta vivendo l’editoria italiana dopo l’impatto contundente con l’ebook nel 2010 e poi l’arrivo di Amazon Italia nel 2011 che ha rimescolato le carte e messo tutti di fronte ad un nuovo modello di business da imparare e  non solo da imitare, ma (magari) superare.

(Io stesso mi accorgo che quanto ho scritto in questi due anni di leggoergosum continua a rimanere attuale anche a mesi di distanza proprio perché ora il dibattito si sofferma su aspetti e problematiche individuate da noi neofiti già da qualche tempo. Il risultato è che scrivo di meno, con sollievo di mia moglie)

Molto interessante l’articolo di Ivan Racheli su Apogeonline, che mette in luce forse uno dei veri  concetti nuovi espressi nel convegno: il passaggio da editoria digitale a editoria scalabile, dove i contenuti sono veicolati in qualunque formato e attraverso qualunque medium.  Si tratta di quel processo di “webizzazione del libro” o di “librizzazione del web” di cui parlava O’Reilly tempo fa? Fatto sta che il compito dell’editore ora consiste nel capire come gestire al meglio e far proprio questo spostamento di prospettiva e questo nuovo modello di produzione culturale, con l’occhio inoltre sempre attento al rischio di disintermediazione possibile con il self-publishing, di cui si parla con sempre maggior frequenza e insistenza anche in Italia (a tale proposito segnalo l’ultimo articolo di Giuseppe Granieri che da un po’ di occupa dell’argomento in maniera costante)

Infine, visto che argomenti come il prezzo dell’ebook e il DRM sono stati ovviamente ingredienti d’obbligo delle discussioni a Editech 2012, consiglio la lettura di un bell’articolo dal titolo eloquente: Making e-book is harder than it looks (fare ebook è più di quanto sembri) in cui si spiega  -e anche in questo caso vale il detto repetita juvant  – che fare un libro digitale non è affatto né semplice né economico e che l’annosa questione valore-prezzo ha un senso ed è giusto riproporla e parlarne.

Immagine: alcune statistiche fornite durante Editech 2012

La primavera digitale dell’editoria e altre stagioni. Battiato la sa

Il Salone del Libro mi ha ricordato quest’anno un paio di canzoni di Battiato, che secondo me la sa lunga in questione di stagioni.

La prima canzone cita: “E ti vengo a cercare anche solo per vederti o parlare perché ho bisogno della tua presenza per capire meglio la mia essenza”. Ecco una perfetta definizione del lettore forte e del
suo rapporto con il libro, perfetta anche come definizione del visitatore medio del Salone e delle sue aspettative.

La seconda è “La primavera intanto tarda ad arrivare” presa da Povera patria. A parte il riferimento sempre attuale alla situazione del nostro Paese, non poteva esserci contraltare migliore allo slogan “Primavera digitale” sposato dal Salone del Libro 2012, che spingeva l’acceleratore sul digitale, non sapendo però bene dove andare. Per quanto abbia cercato di accogliere le contaminazioni digitali, la manifestazione non è riuscita a mio parere nel suo scopo: far conoscere un settore in crescita con le sue sperimentazioni, i suoi
attori e, soprattutto, le sue potenzialità. È vero, gli interventi sull’editoria 2.0 non sono mancati, non sono neppure mancati gli articoli sui quotidiani, ma è mancata la volontà di volerci capire davvero qualcosa da parte dell’organizzazione. Alcune relazioni erano fuori tempo ─ davano per nuove cose già “vecchie” di un anno ─, altre mostravano evidenti buchi di competenza da parte dell’oratore o portavano fuori tema. Lo spazio destinato a Book to the future era piccolo e spesso, causa la posizione infausta, a fatica si potevano
sentire gli interventi senza uno sforzo di concentrazione abnorme. Eppure la sala ha sempre avuto pochi posti liberi. La mia impressione è che parlare di editoria digitale sia stata vissuta un po’ come cosa da fare perché non si poteva non fare. Ok, stiamo parlando di un mercato che oggi rappresenta forse solo 1,2% (0,9% a fine 2011, secondo i dati AIE) del mercato editoriale, ma da un Salone “digitale” ci si poteva aspettare qualcosa di più…

Meno male che l’area digitale del Salone si è saputa difendere da sé. Bookrepublic ha avuto la solita buona idea per avvicinare i neofiti dell’ebook, con i suoi sacchetti pieni d’aria che nascondevano ben 10 ebook gratis e buona parte degli interventi sono stati davvero interessanti, pur se “ruspanti” e informali.

Ah, ad Amazon ho chiesto per curiosità quanti Kindle avesse venduto nei giorni del Salone. La richiesta l’ho fatta sia via Twitter ad Amazon.com, sia ad Amazon Italia: ovviamente nessuna risposta è pervenuta, né ho letto dati ufficiali altrove. Sarebbe stato carino avere qualche informazione, no? Lo stand comunque era
sempre pienotto.

Ora, il punto è che c’è ancora molto da fare per arrivare a una cultura diffusa del lavoro editoriale, del libro e dell’editoria digitale. La responsabilità spetta innanzitutto agli addetti ai lavori.

Ne sono convinto anche perché mercoledì scorso ho partecipato come relatore al Digital Experience Festival che si è tenuto a Torino: ho cercato di dare una rapida panoramica sul passaggio dalla carta al
digitale, anzi, sulla convivenza tra carta e digitale in una casa editrice medico-scientifica. Mentre raccontavo l’esperienza di SEEd in questa fase di meticciaggio tra vecchie e nuove forme di lettura, tra marketing digitale e dispositivi di lettura, osservavo i miei spettatori. Alcuni visi erano confusi, altri avevano un grosso punto interrogativo sulla testa. Avevo dato qualcosa per scontato: che molti sapessero di che si stesse parlando. A conferma del mio errore una delle domande successive alla relazioni è stata: “Ma sull’ebook come faccio a mettere un segnalibro, come faccio a sottolineare?”. Uno degli altri relatori a fine intervento mi ha detto: “Non avevo mica capito che faceste quel lavoro” (nda. in quanto editori). Ne deduco che ci sia ancora molto da fare, che sia necessario lavorare in rete tra professionisti del settore, autori, blogger e lettori forti per uscire dai fraintendimenti e da false aspettative, e che esperienze come #libroincorso, di cui ho scritto qualche tempo fa, siano da replicare. D’altra parte, non è un modo come un altro per trovarsi intorno a un tavolo e parlare delle proprie passioni?

A proposito di iniziative sull’ebook, ve ne segnalo una interessante da poco partita in quel di Genova: 3 incontri sull’ebook e quel che sta accadendo in editoria con tanto di streaming e hashtag #genovaebook. Da non perdere.

Da segnare in calendario anche gli ormai prossimi Editech e If Book Then Summer Edition.

Nell’attesa di un più fertile “autunno digitale”…

di Salvatore Nascarella (@nascpublish)