Teicoscopia sulle tecnologie nella didattica

ImmagineSi continua a parlare, con una certa frequenza ed encomiabile continuità, di quello che sembra l’argomento del momento, cioè l’uso delle tecnologie nella didattica. Sinceramente, a volte mi sembra piuttosto una teicoscopia (o teichoscopia), cioè quell’ “osservazione dalle mura” in cui nell’Iliade Elena passa in rassegna (dalle mura, appunto) gli eroi che si affronteranno nella grande battaglia sotto Troia. Allo stesso modo, infatti, analisti ed esperti continuano a misurare e identificare le forze in campo senza però entrare nel merito della tenzone, ovvero senza fornire una soluzione concreta a quello che, effettivamente, è ancora molto nebuloso, cangiante, indefinito e indefinibile.

Se ne è parlato anche nella mattinata di sabato di See-book, il forum del libro digitale che si è svolto a Sassari nelle giornate del 17 e 18 gennaio (qui è possibile rivedere lo streaming del sabato mattina, ma ci sono tutti i video disponibili): si sono  ribaditi concetti ormai noti (ma a quanto pare non abbastanza) come la priorità della formazione degli insegnanti, il concepire la tecnologia come uno strumento e non un elisir che magicamente può risolvere i problemi della didattica; Giovanni Biondi, che  per primo forse ha usato il termine “scuola digitale”, ha poi rincarato la dose affermando la necessità di una riforma profonda del sistema educativo, ancora basato su e ancorato a una visione tayloristica, di stampo industriale, con sistemi e finalità che non hanno più aderenza con la realtà del mondo attuale. In questa operazione di rinnovamento le tecnologie potrebbero dare il loro contributo, ma starà solo agli insegnanti calibrare il sestante per definire la rotta giusta, perché sono loro che gestiscono il lavoro quotidiano in classe.

In sostanza, come sostiene anche Chomsky in questo breve suo intervento sull’argomento, la tecnologia è come un martello, che si può utilizzare per costruire come per distruggere: se non c’è un apparato concettuale all’interno del quale inserire l’utilizzo delle tecnologie, se non sono chiari gli scopi e le domande a cui il digitale dovrebbe rispondere, le tecnologie potranno anche risultare nocive alla conoscenza e all’apprendimento.

A questo proposito è molto interessante l’intervista apparsa su La ricerca a Michael Feldstein, un esperto di strumenti educativi digitali e di e-learning. In poche ma chiarissime parole, Feldestein prima di tutto ci rincuora un po’ dicendo che negli Stati Uniti non si è poi così avanti come spesso si tende a pensare e moltissimi insegnanti sono ancora piuttosto diffidenti nei confronti del digitale in classe. Per quanto riguarda invece le case editrici scolastiche, Feldstein afferma che “per le aziende è difficile capire a quali prodotti dare la precedenza o a quale velocità andare” e che “per gli editori di scolastica è particolarmente difficile progettare bene i prodotti digitali”. Il primo ostacolo che devono affrontare, dice Feldstein, consiste nel capire che gli insegnanti e  gli studenti devono ora risolvere problemi diversi rispetto a quelli che erano abituati a risolvere con i libri cartacei. Nell’intervista si parla anche di MOOCs e di Big Data ed è da leggere nella sua interezza.

Nel frattempo, la scuola digitale di Apple (ovvero i materiali didattici realizzati con iBooks Author) arriva anche in Italia (qui un articolo del Sole24ore). Della sedicente rivoluzione della mela morsicata avevo già parlato in un post scritto quando fu lanciato questo tool e devo dire che non ho cambiato molto la mia posizione, improntata a una diffidenza soprattutto riguardo al termine “rivoluzione”, ma probabilmente anche al termine “didattica”. Quindi rispetto a tutta l’operazione Apple, sostanzialmente.

Su tutto, comunque, pesa una domanda ancora irrisolta, che infatti è stata formulata anche nel convegno See-book: che cos’è veramente un ebook? Soprattutto nella didattica, questa è una questione ancora aperta, dal momento che il libro di testo è un materiale troppo complesso, articolato e ingombrante da poter non dico sostituire, ma anche integrare in maniera indolore (in termini di costi, di risorse, di professionalità impiegate) con una controparte digitale; e proprio in un periodo in cui si parla di “fine” o almeno (e sicuramente) di profondo cambiamento nelle abitudini di lettura (e, aggiungo io: di scrittura), è lecito pensare che il materiale didattico, già di per sé sempre più modulare,reticolare, flessibile, possa e debba essere completamente ripensato in maniera da una parte più narrativa e dall’altra più ramificata, multimodale e partecipata. Forse questo bel prodotto del NYT  (che vi consiglio di esplorare in tutte le sue pieghe) può essere d’aiuto nell’iniziare a immaginare i possibili percorsi che potrebbe imboccare il digitale per dare veramente un peso e un’impronta forte al proprio valore aggiunto e iniziare una storia tutta sua, sganciata dalla mimesi cartacea e legata più strettamente alle sue caratteristiche e potenzialità.

Tutto sta a capire se gli editori continueranno anch’essi nella loro teicoscopia o oseranno qualcosa di diverso da quanto fatto finora.

Argomenti correlati: la sezione scolastica digitale di questo blog.

Apple e la didattica: un’infografica

Ho trovato in rete quest’infografica sul presunto impatto che avrà Apple sulla didattica e precipuamente nel futuro dei libri di testo. Ne avevo già parlato qualche tempo fa in un post in qualche modo accusato, non a torto, di aver tenuto conto solo di fonti negative e critiche nei confronti di Apple.

Ritorno sull’argomento con quest’infografica che penso sia abbastanza eloquente e la lascio ai vostri eventuali commenti e osservazioni.

Apple e la didattica: prendi una rivoluzione (altrui) e mettila nella Mela

Ho aspettato qualche giorno e letto parecchi commenti altrui prima di parlare dell’annuncio della Apple  (qui un’ottima rassegna stampa sull’evento) e la sua nuova svolta nella didattica che, secondo la  società di Cupertino “reinventa” il modo di concepire il libro di testo. Va subito detto però che quanto propone Apple a molti non sembra né nuovo né  originale né addirittura adeguato a quelle che sono le nuove tendenze e le esigenze didattiche, intese come promozione di un modo nuovo di formare il sapere e di trasmetterlo. Riassumendo un po’ le argomentazioni di gran parte degli articoli che ho letto in una frase, questa potrebbe essere:

Apple non propone niente di nuovo, ma lo fa meglio degli altri.

I fattori che hanno suscitato le maggiori perplessità (la sitografia dei post a riguardo è notevole, riporto quelli che secondo me sono gli articoli più significativi, tra cui questo) possono essere ricondotti a tre argomentazioni:

– il progetto Apple è costoso ed elitario: non tutti (scuole o famiglie) possono permettersi l’acquisto di un Mac e/o di un iPad, presupposti necessari per poter godere di questa “rivoluzione” dell’apprendimento e dell’insegnamento. Nella presentazione del 19 gennaio è stato messo in evidenza come gli studenti che usano l’iPad sono circa un milione e mezzo e che le app didattiche per il tablet Apple sono 20.000 – e destinate ad aumentare notevolmente. Questo comunque non toglie che avere un Mac o un iPad sia un requisito indispensabile in quanto (e passiamo al secondo punto)

– il progetto Apple  è chiuso e riservato esclusivamente a coloro che possiedono o usano device con la mela morsicata (ma questa sinceramente non sarebbe una novità né un’esclusiva di Apple); anche l’insegnante che volesse realizzare un textbooks digitale con il “rivoluzionario” programma iBooks Author si trova poi Apple come unico distributore, a cui inoltre deve lasciare il 30% del ricavo. “Pessimo affare”, lo definisce un approfondito quanto feroce post di Audry Watters, giornalista specializzata in tecnologie didattiche. Inoltre,

– Il progetto Apple non  è né  nuovo né  originale (anche in questo caso lascio come Pollicino un altro prezioso link utile all’uopo), ma la risonanza e la forza del brand Apple offuscano magari il  fatto che esistevano già da tempo software per la realizzazione di testi didattici in forma digitale di ottima fattura (vedi quello di Inkling tra tutti, ma anche il progetto di Flatworldknowledge fornisce molti elementi che vanno verso la stessa direzione di Apple), mentre a generare flashcard dagli appunti e dalle annotazioni dello studente ci aveva già pensato Kno (vedi il video e leggi l’articolo qui). Inoltre, viene giustamente osservato, un testo didattico enhanced che si rispetti dovrebbe pesare almeno 3 Gigabyte, e ci si chiede quanti “libri di testo” potranno starci dentro il modello base dell’iPad di appena 16 GB, quello meno caro e probabilmente destinato agli studenti.

Se poi non vi bastano le critiche alla dichiarata rivoluzione griffata Apple, vi consiglio un post sintetico e schematico che riassume i tre maggiori punti deboli di tutto il progetto.

Dove va la didattica…
A me personalmente interessa l’aspetto più strettamente didattico nel senso metodologico del termine, aspetto paradossalmente più trascurato di altri, cosa bizzarra visto che, fino a prova contraria, saremmo in un ambito educational, quindi si dovrebbe parlare anche di metodo di apprendimento (e insegnamento).
Da questo punto di vista ho avuto subito alcuni dubbi, peraltro in parte espressi soltanto nell’articolo di Audry Watters succitato.
I dubbi sono dovuti ad una semplice constatazione: la didattica sta intraprendendo una strada molto precisa e chiara (delineata benissimo da questo post):
1) i libri di testo cartacei sono destinati a un forse non rapido ma sicuramente inesorabile declino. Troppo costosi, diventano desueti facilmente e rapidamente (e gli editori di scolastica accentuano questa caratteristica per pubblicare continuamente nuove edizioni anche di testi che non ne avrebbero molto bisogno); il futuro in questo senso è digitale e il tablet sembra il supporto ideale per le esigenze sia dello studente che dell’insegnante.
2) l’insegnamento va verso un modello di individualizzazione del materiale didattico, pensato, o realizzato e comunque fornito in base ai bisogni del singolo studente e alle difficoltà riscontrate nel corso del processo di apprendimento.
3) L’apprendimento sarà più social, con l’incorporamento dei social media (o ambienti simili) e il ricorso sempre più frequente a blogs, wikis e all’interazione tra studenti.
4) In generale si va verso modello più aperto (anche in senso fisico, e in Danimarca hanno iniziato), all’insegna dell’innovazione sia nel metodo di insegnamento sia in quello di apprendimento, dove quindi insegnanti e studenti avranno a disposizione strumenti nuovi e nuove strategie da sviluppare insieme.

… e dove va Apple 
Riprendendo le quattro tendenze sopra riportate:
1) superfluo anche dirlo: già con l’iPad Apple aveva non solo sentito questa esigenza ma ha portato ad un’ indubbia accelerazione del processo di abbandono del libro di testo cartaceo per passare a quello digitale e multimediale.
2) Qui la cosa sembra meno definita, nel senso che anche lo stesso software iBooks Author porta di fatto alla realizzazione di testi enhanced ma vige sostanzialmente la formula one size fits all, a meno che non si pensi che un docente costruisca di volta in volta mini-testi su misura per singoli studenti, cosa a mio parere a dir poco improbabile.
3) Le perplessità aumentano ulteriormente, dal momento che se l’interattività tra studente e device sarà presumibilmente molto alta, finora non c’è traccia di interazione tra pari, non abbiamo ambienti condivisi dove creare o elaborare progetti o semplicemente discutere quanto si sta apprendendo.
4) Anche in questo caso, il progetto Apple sembra basarsi sul modello di lezione frontale o comunque in qualche modo top-bottom e non più proponibile, dal momento che ormai il nuovo ambiente didattico è orizzontale, digitale, dove l’insegnante può contare sull’apporto di learning analytics (cioè poter tracciare e analizzare dettagliatamente il percorso di apprendimento dello studente) e lo studente sul continuo confronto con i compagni anche in modalità remota e asincrona.

Ma forse  è solo il primo passo…
Personalmente non credo che Apple lasci di proposito tante falle in quella che vorrebbe essere la sua ammiraglia nel settore educational e la mia non è solo un’impressione: dal punto di vista del costo eccessivo del device, si sa da tempo che, dopo l’uscita del Kindle Fire, a Cupertino stanno sviluppando un tablet più piccolo e più  economico dell’iPad e quasi sicuramente sarà questo il device destinato agli studenti. E un problema sarà risolto, almeno in parte.

Inoltre, un interessante post metteva in evidenza come la nuova piattaforma iTune U potrebbe essere interpretata sin d’ora come un LMS (Learning Management System) “segreto” con la possibilità quindi in futuro di configurarsi come un vero e proprio ambiente di apprendimento digitale in cui sarà possibile condividere risorse didattiche in Cloud e accedere a tutti quegli strumenti e utilities menzionati al punto 3).

Insomma, personalmente penso che ci troviamo di fronte solo al primo, certo importante passo (quando si muove un colosso come Apple è sempre un evento), ma ne seguiranno presto altri, probabilmente meno eclatanti ma non per questo meno decisivi.