Come sta l’ebook? Bene, male, dipende

In questo periodo si parla molto dello stato di salute dell’ebook, soprattutto in U.S.A. e Gran Bretagna, i due mercati principali. Perché? Perché dopo anni di ascesa quasi esponenziale, il 2014 ha visto questa spinta affievolirsi in maniera sensibile. Ma attenzione: da una parte i dati forniti non tengono conto di un player come Amazon (che si sa, detiene la fetta più grande del mercato di libri digitali), dall’altra in Italia, almeno stando ai dati AIE diffusi in questi giorni alla Buchmesse di Francoforte, le cose per l’ebook non sembrano andare così male, anzi: l’ebook è uno dei (pochi) settori che fa registrare il segno più, raggiungendo i dati di vendita dei libri cartacei della grande distribuzione. Interessante, inoltre, il dato che evidenzia un rapporto sempre più stretto tra evento e vendita di libri, che sottolinea l’importanza crescente dei festival e degli incontri con gli autori. Qui sembra che libro e musica, travolti dal digitale, seguano la stessa traiettoria: più che il negozio, conta ora il concerto, il reading, la presenza fisica di autore e pubblico insieme nello stesso spazio.

Un articolo di qualche mese fa suThe Bookseller confrontava l’andamento del mercato librario in Gran Bretagna e negli Stati Uniti: le vendite di ebook rappresentano il 17% del valore totale, ma per i romanzi la percentuale è del 37%, chiaro segnale che “i lettori continueranno ancora a richiedere un mix flessibile di cartaceo e digitale, senza che uno dei due pattern predominerà”.

L’articolo poi fa varie riflessioni sulle possibili cause del fenomeno e analizza più in dettaglio alcuni segmenti. Consiglio a chi fosse realmente interessato di leggersi integralmente il pezzo, di cui sintetizzo rapidamente alcuni dati:

  • è difficile individuare una vera crescita del digitale nei prodotti editoriali per giovanissimi lettori: in sostanza si rileva ancora l’importanza del libro cartaceo nelle vite dei bambini, nonostante il sempre costante uso di internet e della tecnologia.
  • Se si fanno i conti in tasca ai Big Five — Penguin Random House, Hachette, HarperCollins, Pan Macmillan — l’aumento delle vendite di ebook sale a +15.3% rispetto al 2013: ma i ricavi relativi crescono solo del 6.8%. Segno che il prezzo medio diminuisce (o gli acquirenti comprano più ebook a basso prezzo) e quindi i margini per l’editore si restringono. “In other words, growth comes at a cost.”
  • Il mercato scolastico digitale deve ancora svilupparsi, ma quello accademico è molto più vitale.

Cosa diventerà l’ebook?

Tuttavia, sostiene un altro articolo su Digitalbookworld, se si pensa che il digitale sia in fase di regressione, ci si sbaglia di grosso. E spiega perché.

Steven Sinofsky’s Four Stages of Disruption

Nel farlo si affida a una teoria di Steven Sinofsky, ex presidente Microsoft, che ha individuato 4 fasi nel processo di disruption (chiamiamola “discontinuità”) che reca con sé la tecnologia:

FASE 1 — Disruption of Incumbent: l’innovazione è un bel giocattolo, ma non è vista come fondamentale per il proprio business. Nell’editoria digitale, dice l’articolo, si può parlare degli anni 2007–2010.

FASE 2 — Rapid Linear Evolution: l’innovazione prende una nuova traiettoria e viene percepita come tale, ma è ancora solo tollerata, sebbene si accetti di incorporarla gradualmente nel proprio processo di produzione. Per l’editoria digitale si parla degli anni 2010–13.

FASE 3 — Appealing Convergence: la discontinuità è avvenuta, ma il mercato si stabilizza. Si verifica una forma di convivenza mista digitale-analogico. Siamo per l’editoria in questo attuale periodo, il 2015.

FASE 4 — Complete re-imagination: è l’ultimo stadio della teoria di Sinofsky, quando cioè una categoria o una tecnologia viene rivista, reinterpretata e reinventata dalle fondamenta. Per l’editoria questa fase deve ancora iniziare, e allo stato delle cose è difficile dire quando ciò accadrà.

In un post di un anno fa avevo già parlato di mimesi ancora troppo fedele del digitale rispetto al cartaceo e di “traduzione troppo letterale” che l’ebook opera ancora, faticando a trovare una sua sua via per dare vita a nuove modalità di elaborazione e fruizione dei contenuti. Anche nel settore dell’editoria scolastica si avverte molto questa fase di transizione, quasi che l’ebook sia solo una crisalide da cui si attende con trepidazione che ne esca una meravigliosa farfalla che stupirà tutti per la sua bellezza. Non posso però concludere senza citare due riflessioni dell’articolo Publishing’s Digital Disruption Hasn’t Even Started fin qui sintetizzato e, in parte, tradotto:

Pensate a come altre industrie hanno vissuto questa fase di disruption: Uber, la più grande compagnia di taxi, non possiede nemmeno un veicolo; Facebook, il più popolare proprietario mediatico, non possiede contenuti; Alibaba, il venditore più valutato, non ha un magazzino. Airbnb, il più diffuso sistema di alloggi, non possiede nemmeno un’agenzia immobiliare.

Tutto ciò mi ricorda in qualche modo una frase del mio amico Mauro Sandrini nel suo Elogio degli ebook: il fatto che i giovani non comprino più cd non significa che non ascoltano più musica. Anzi, ne ascoltano come e più di prima. Solo che cambiano le modalità in cui viene fruita e diffusa.

Infine, l’ultimo pensiero va agli editori: Ironicamente, uno dei talloni d’Achille degli editori — la loro presunta impenetrabilità e inadeguatezza nei confronti dell’innovazione — potrebbe nei fatti aiutarli ad attutire l’impatto delladisruption. Comunque, non la fermerà.

Libri di testo: sì, no, quali?

Un argomentolocandina che mi interesserà molto affrontare a Pistoia il 4 maggio e nelle altre tappe che farò per presentare Il digitale e la scuola italiana riguarda forse uno dei protagonisti del dibattito: il libro di testo.

In questi giorni se ne sta parlando parecchio a causa dell’ uscita della circolare sulle adozioni per l’anno scolastico 2015-16, le cui peculiarità, si sa da tempo, sono la possibilità di adottare materiali alternativi ai libri di testo e permettere alle scuole di elaborare autonomamente materiali da utilizzare come libri di testo.

Riprendo a questo proposito alcune riflessioni esposte in un post del blog dedicato al mio libro, declinandole in maniera più estesa. Tre sono in sostanza le questioni di cui vorrei parlare con gli insegnanti:

– Il ruolo del manuale scolastico è ancora centrale? Cosa dovrebbe avere o non avere un manuale adeguato alle attuali esigenze? Quanta parte dovrebbe essere lineare – e quindi cartacea – e quanta estesa – e quindi digitale? E su quali presupposti, con quali modalità?

– Quanto è realisticamente pensabile che gli insegnanti elaborino materiali didattici autonomamente? E anche in caso lo facciano, con quali le garanzie qualitative e soprattutto con quale ritorno in termini concreti di un lavoro che, se fatto bene, prende molto tempo e molte energie?

– Dove l’editore può intervenire non solo e non tanto per arginare una possibile emorragia in termini di eventuali mancate adozioni, ma anche per trasformare il suo ruolo da erogatore di prodotti in fornitore di servizi, mettendo quindi a disposizione la sua esperienza e le sue professionalità per coadiuvare gli insegnanti in questo compito?

Ad alcune di queste domande già si stanno dando risposte, più o meno aperte. Un articolo di Mario Maviglia su La Vita Scolastica sostiene che “è sbagliato valutare un libro di testo in base a un criterio quantitativo, ossia in relazione a quante informazioni dà o a quanti esercizi propone” e introduce una riflessione su come conciliare le esigenze dell’insegnante con i materiali a disposizione.

Decisamente più critico è Roberto Maragliano, che titola un suo recente post Interrogativi sul manuale e la sua attualità scolasticain cui afferma senza mezzi termini che “Pensare e far pensare che la conoscenza sia producibile e riproducibile in forma di manuale significa, io credo, toglierle ogni istanza di problematicità, significa appiattirla“. Non a caso rimanda a un suo precedente articolo La non saggezza del manuale ribadendo, se mai ce ne fosse bisogno, quanto già dichiarato con forza in quell’intervento: “Occore purrntare seriamente e massicciamente sul web. Perché la rete crea scompiglio, confusione, disorientamento. E dunque impedisce che ci si adagi sulla prospettiva, del tutto falsa, di un sapere pacato, pacificato e pacificante. Il sapere, se è sapere vero, è movimento, dinamica, dialogo, scontro/incontro di prospettive. ”

Dominici 3dUna posizione estrema? Sicuramente però non isolata, e lo testimonia un’interessante esperienza a Verbania, coadiuvata da Paolo Ferri (uno che senza mezzi termini dice che “il libro di carta è morto”, per capirci) e che ha portato in classe non solo gli iPad e nuove metodologie come la flipped classroom, ma ha saputo coinvolgere nella sperimentazione il dirigente scolastico, tutti gli insegnanti di tutte le discipline, studenti e genitori. Tra le varie questioni, una delle principali è stato chiedere agli insegnanti che cosa vorrebbero dalle case editrici come testi d’appoggio per questo tipo di didattica integrata con le tecnologie.

Ma la cosa, ripeto, più innovativa, a mio parere, è stato questo lavorare in rete, creando un tessuto connettivo in cui scuola-famiglia-preside-insegnanti-studenti si sono confrontati in modo collaborativo, elaborando strategie e soluzioni condivise. Chi mi conosce, o segue ciò che scrivo, sa che questa è secondo me uno dei primi mattoncini Lego per edificare le cosiddette classi 2.0.

Voi cosa ne pensate?

Come finisce il libro: 4 considerazioni

di Salvatore Nascarella (@nascpublish)

Ho letto tempo fa Come Finisce il libro. Contro la falsa democrazia dell’editoria digitale. Quelle che seguono sono alcune considerazioni nate dalla lettura.
Cominciamo col dire che a me i libri che pongono domande piacciono molto, perché preannunciano risposte. Il nostro 33_comefinisceillibroinizia proprio così. Ancor più importante, se parliamo di saggi, è che siano riportati dati e fonti in maniera precisa e facilmente riscontrabile. Infine, per cercare di descrivere quel che sta accadendo nel complesso mondo editoriale serve una buona capacità di sintesi e organizzazione del pensiero per tenere viva l’attenzione di un lettore. Bisogna dire che su questi fronti Gazoia ha colto nel segno.
Quella di Gazoia (su Twitter @Jumpinshark) è un’analisi dello stato delle cose che riguarda la galassia del libro, digitale e non: è un percorso attraverso i mutamenti che stanno condizionando e ristrutturando l’editoria, è un dialogo diretto con il lettore, senza manie di protagonismo, con l’obiettivo di condividere informazioni e far conoscere meglio il settore editoriale.
Ho ricavato dalla lettura del libro alcuni spunti di riflessione.

1. Siamo propensi ad accumulare e in qualche modo possedere contenuti. Lo facevamo con quelli “analogici” e replichiamo gli stessi comportamenti con il digitale. Spesso cerchiamo contenuti che siano, almeno per noi, sempre nuovi. Questo implica da una parte una certa bulimia che interessa chi scrive, chi legge, chi promuove o si deve promuovere e dall’altra un flusso costante di fenomeni letterari. Altro elemento che condiziona la propensione all’accumulo, maggiore per l’ebook rispetto al libro fisico, è legato all’intangibilità del contenuto: nel digitale la percezione di spazio occupato, di presenza “reale” dell’oggetto da leggere è assai ridotta. L’incorporeità fa perdere il controllo visivo che siamo abituati ad avere sul libro (sul comodino, sugli scaffali, ecc.). Inserito in un contenitore che ne maschera la fisicità, il contenuto si può sottrarre alla vista: questo aspetto è parte integrante della spinta all’acquisto e modifica in profondità il sistema editoriale e la sua economia.

2. Lo scopo dei grandi player (Amazon, Apple ecc.), così come degli editori e dei distributori editoriali “indipendenti”, è vendere, vendere, vendere. Per vendere di più si cerca di dare al lettore ciò che vuole e per raggiungere lo scopo serve fare volumi, in senso di quantità. Nulla di anormale. La filiera editoriale è fatta di aziende che lavorano per il profitto, pagando stipendi, professionalità, strutture ecc. Come giustamente fa notare Gazoia, c’è un “però”: l’esclusiva attenzione al prezzo più basso e le questioni connesse a quale compenso debba percepire un autore per il suo libro occultano un nodo centrale e una difficoltà reale dell’editoria, ossia la promozione della lettura e del libro. Niente più prestito all’amico, niente (per ora) copie di seconda mano: sì, è vero, le biblioteche possono prestare ebook, così come diverse piattaforme di distribuzione digitale, ma il rientro nel mercato di un ebook già acquistato o più semplicemente il passaggio di un libro di mano in mano tra amici, tra lettori, subisce un brusco stop. Esistono alternative, usate soprattutto nell’editoria professionale e universitaria (Open Access, Creative Commons, Copyleft), che permettono a un contenuto di essere diffuso e condiviso con diverse articolazioni dei diritti d’autore: non è detto che questi modelli non possano trovare spazio e imporsi anche in altri campi della pubblicazione digitale. Il tempo ci saprà dire.

3. L’ammiccamento è la strategia adottata per conquistare il lettore. Ci provano i grandi player, i distributori, gli editori, gli autori (anche quelli del selfpublishing). D’altra parte gli strumenti per darsi da fare ci sono: le classiche recensioni, gli eventi, i blog e i social network. E ovviamente c’è il marketing. Un ammiccamento simile abbraccia anche i potenziali scrittori che sono invitati a far da sé, con i pro e i contro del caso. Fa parte della “cultura partecipativa” cui la rete in qualche modo ci sta abituando e che apre le porte a chiunque sia alla ricerca del quarto d’ora di celebrità, giocando con la diffusione virale e – perché no – fidelizzata delle storie. Il risultato può non rispondere alle aspettative degli autori e dei lettori, ma in ogni caso risponderà alle logiche di vendita. A dirla tutta, l’autopubblicazione digitale non è nata con gli ebook: i blog sono i padri dell’autopubblicazione. Avete presente quei diari o le raccolte di poesie e microstorie su web che tanto andavano di moda anni fa? Ecco, quella era una forma selfpublishing, libera, accessibile e gratuita. Ma quindi cosa sta cambiando? Ovviamente i blog continuano a esistere e, anzi, la tendenza è personalizzare sempre più la propria presenza in rete. La differenza maggiore è che esiste un modello di business legato ai contenuti: quelle raccolte di poesie e le microstorie digitali si possono vendere. A mio parere, la differenza maggiore sta però nel tentativo di far percepire come personale e intima la relazione lettore-venditore-autore. Per intenderci, si sposa bene con gli slogan “solo per te” e “anche tu puoi”. Qui sta appunto l’ammiccamento conquistatore.

4. Dobbiamo considerare un fattore di prospettiva dell’autopubblicazione: anche i contenuti digitali autopubblicati sono e saranno specchio del nostro tempo. Poco importa esprimere oggi un giudizio positivo o negativo sulla questione, perché di fatto anche il selfpublishing sarà un elemento attraverso cui i posteri potranno leggere e interpretare la nostra società, esattamente come noi facciamo con la lettura degli autori del passato. Ciò varrà sia per gli autori “nobili” sia per quelli non filtrati dagli editori, al di là del prezzo di copertina di un ebook o un libro, al di là del supporto elettronico su cui leggeremo. E non è che ciò sia meglio o peggio: semplicemente è. Siamo dentro questo tempo, immersi in questa trasformazione, e ci è difficile, se non impossibile, produrre un giudizio oggettivo. Possiamo solo analizzare quanto sta avvenendo per azzardarci a scegliere con maggiore consapevolezza.

Se l’intenzione del testo era rendere più consapevoli i lettori (e gli scrittori) di quanto avviene nella filiera editoriale alla luce dei cambiamenti che stanno caratterizzando il settore, il lodevole obiettivo è stato raggiunto.
Forse, ma dico forse, per chi lavora nell’industria del libro i contenuti saranno in buona parte già assai noti. Ciò non toglie che faccia bene alla sistema culturale e politico – in senso lato – del nostro Paese far conoscere al più vasto pubblico possibile quel che accade “dietro” un libro, digitale o meno, e più in generale in quale contesto si stia muovendo la realtà editoriale.
Ad ogni modo, possiamo stare tranquilli: la morte del libro non è ancora giunta e penso che tardi ad arrivare.

Il libro visto da Francoforte

Di ritorno da due giorni alla Buchmesse di Francoforte per ragioni di lavoro, riporto qui alcune riflessioni e appunti che ho raccolto prima, durante e dopo il viaggio in quello che senza dubbio è il tempio del mondo editoriale.

1. Il libro cartaceo è vivo e vegeto
Non mi è sembrato affatto che il libro sia un oggetto in via di estinzione e devo dire che leggere questo articolo sull’Economist non ha fatto che rafforzare e confermare questa mia impressione. Articolo beconomistreve, quasi una didascalia estesa di un’immagine che mostra le vendite di libri cartacei e digitali in U.S..A e in alcuni paesi europei (tra cui l’Italia) dal 2007 al 2018, quindi con una proiezione futura che prevede, solo per Stati Uniti e Gran Bretagna, un sorpasso del digitale sul cartaceo – senza però includere il settore professionale e scolastica, elemento di non poco conto.

Resta comunque il fatto che contrapporre i due supporti rimane una forzatura, come anche sottolinea molto bene Edward Nawotka in uno dei suoi editoriali francofortesi su Publishing Perspectives:

“Nella storia recente dell’editoria sembra essere dilagato un conflitto fomentato soprattutto dalla digitalizzazione: Amazon contro tutti, cartaceo contro digitale, editori contro self-publishing, libri contro gli altri media. Forse è stata la nostra immaturità digitale a condurci a una visione dove si vince o si perde soltanto?”

2. Alla ricerca di un nuovo modello di business: lo streaming è la via giusta?
Digitale o meno, è chiara ed evidente l’esigenza, per gli editori, di trovare un nuovo modello sostenibile, vuoi per affrontare la IMG_20141010_172249crisi strutturale che non è solo di settore, vuoi per ricavare nuova linfa vitale in un momento quanto mai confuso, pieno di rischi come però anche di possibilità. A questo proposito trovo notevoli le parole di Brian Murray, CEO di HarperCollins, il quale proprio a Francoforte ha rivelato che delle tre vie tentate dal suo marchio (il bundling, il print on demand e lo streaming), quella che con sua stessa sorpresa si è rivelata ad oggi vincente è stata proprio la partnership con Scribd.

“Questo modello – ha detto Murray – è adattissimo alla cosiddetta “coda lunga” e valorizza molto la backlist e il catalogo di un editore”.

Ma le parole di Murray che mi hanno colpito sono soprattutto queste: “Noi andiamo sempre avanti e vogliamo provare cose nuove: se qualcosa ha successo o fallisce, comunque impariamo nel corso del processo. Vogliamo essere i primi a imparare: se qualcosa funziona, lo rafforziamo e lo miglioriamo.”

Come anche sottolinea Nawotka nel suo editoriale, non è scontato sentire un manager editoriale parlare così, ma è così che bisognerebbe sempre ragionare, soprattutto in un momento come questo.

DSC_0016

La “classe del futuro” di we.learn.it

3. Educational: fermi tutti, prima la metodologia.
Parecchia attenzione anche all’educational (padiglione 4.2), ma la priorità quest’anno viene data non tanto alle ultime trovate tecnologiche (che del resto non ci sono), quanto piuttosto alla consapevolezza del fatto che l’uso delle tecnologie in classe resterà sempre limitato e poco incisivo se nel mondo degli atomi non si realizzano le condizioni adeguate per valorizzare le potenzialità offerte dai bit.
Non a caso lo spazio maggiore è stato dato al progetto we.learn.it dove si può sperimentare direttamente e concretamente la classe del futuro (niente file di banchi, spazi modulari, tanta sperimentazione e lavoro collaborativo); e non a caso uno degli speech più seguiti è stato quello dell’educatore finlandese Pasi Sahlberg, che ci ha parlato in maniera godibilissima e con grande competenza del modello educativo finlandese e di come esso sia perfettamente esportabile e imitabile, a patto di trasformare un sistema scolastico da competitivo a collaborativo, da standardizzato a personalizzato, da valutativo a responsabile, da elitario a equo. In tutto ciò l’innovazione è importante solo se essa è veramente integrata nel sistema educativo.

Per chi vuole approfondire i vari punti, ecco qualche link utile:
– sulla questione cartaceo-digitale e in generale sui nuovi modi di intendere scrittura e lettura digitale, c’è un’interessante dibattito scaturito da un post su facebook di Gino Roncaglia, il quale prende a sua volta spunto da questo articolo su Electric Lit.

– Del bundling mi sono occupato già in passato su questo blog, rinviando anche a post molto puntuali e specifici, vedi qui. Anche sullo streaming ho scritto spesso, l’ultima volta parlando del servizio Amazon Kindle Unlimited; segnalo per l’occasione un post recentemente comparso su pianetaebook che pone la questione su una prospettiva secondo me corretta e lucida.

– Infine, su scuola digitale e necessità di innovazione nel sistema scolastico stesso, rimando alla relativa sezione in questo blog. Non per egocentrismo, ma perché – e chi mi conosco lo sa – i miei post partono sempre da spunti trovati nel web che riporto e approfondisco.

Amazon senza limiti e i limiti del digitale

Kindle-UnlimitedSenza dubbio l’argomento della settimana è l’annuncio dell’avvio di Kindle Unlimited, il servizio di lettura in streaming che “quelli di Seattle”, come ormai vengono chiamati i capoccioni di Amazon, hanno deciso di varare sin dal prossimo autunno. Chi si abbonerà al servizio avrà a disposizione oltre 600 mila titoli (precisamente 645.790), di cui oltre 2000 audiolibri.
Questi sono ovviamente i numeri del mercato americano (e il costo sarà di 9.99$), poi negli altri stati ci si adeguerà al numero degli ebook (e degli editori) disponibili. Infatti sin dall’inizio sono fuori i “big five”, cioè i cinque editori più importanti del continente americano (Penguin Random House, Macmillan, HarperCollins, Hachette e Simon&Schuster), cosa non trascurabile. Chissà poi che ai grandi cinque si aggiungano strada facendo anche altri marchi editoriali europei (anche se l’ipotesi sembra meno plausibile).

Della questione dei big five e di altre perplessità legate all’operazione trovate un resoconto molto esauriente in un articolo su ilmiolibro.it, mentre un ottimo articolo di David Gaughran pone alcune importanti domande che l’operazione Amazon inevitabilmente fa sorgere ad autori, editori e lettori.

La prima domanda riguarda infatti proprio gli autori: quanto saranno pagati per ogni libro scaricato (non potendo parlare di vendita vera e propria, si tratta infatti di un prestito a condizioni molto particolari)? La cosa ancora non è chiara, anche se Michael J. Sullivan su Digital Book World parla senza mezzi termini di un sistema che creerà degli “autori di serie B” e precipuamente gli autopubblicati, che Sullivan vede nettamente discriminati rispetto agli editori tradizionali.

Un’altra importante questione è se il servizio streaming cannibalizzerà le vendite tradizionali: su questo Gaughan ha idee più chiare: “sembrerebbe naturale pensare che le vendite saranno erose, ma Kindle Unilimited potrebbe anche aumentare le fette di torta da spartire. Non sappiamo poi come sarà accolto dai lettori, ma mi stupirei molto se risultasse un flop”. La vera questione è, conclude Gaughan, che tipo di lettore sarà quello che verrà attratto da questo servizio.
E soprattutto (è una delle “key questions” del pezzo) che tipo di lettura ci riserva il futuro. Giustamente Gaughan rileva le notevoli differenze che ci sono tra lo streaming musicale e quello che riguarda la lettura. Inoltre, rileva altrettanto giustamente, bisogna considerare gli oltre duemila audiolibri che Amazon ha già inserito nel servizio e che presumibilmente aumenteranno, tenuto anche conto che il mercato degli audiolibri sta vivendo una grande rinascita (si parla di +24% a quadrimestre, negli USA).

Gli audiobooks saranno anche probabilmente determinanti nella competizione tra  Kindle Unlimited e i servizi analoghi di Scribd e Oyster. Questi ultimi hanno dalla loro i sopra menzionati “big five”, ma è pure vero che Amazon può contare su decine di milioni di dispositivi Kindle pronti per ospitare il suo servizio.

In questo modo non si svaluta il libro? si chiede ancora Gaughan, ma nel giro di due righe si dà la risposta, decisa e senza remore: no. “Non più di quanto succeda ora con i tascabili, i megasconti della grande distribuzione, i banchetti dell’usato.”

Come sarà considerato il prestito dall’algoritmo Amazon? Probabilmente ogni prestito sarà equiparato a una vendita, per ragioni di ranking. Per ora il prestito prevede fino 10 libri alla volta senza scadenza per la restituzione e un numero illimitato di libri al mese. Potenzialmente, gli algoritmi avranno parecchio lavoro.

Per gli scrittori che si autopubblicano sarà conveniente partecipare a questo servizio? Sarà una vetrina importante anche per i “minori” o solo un’ulteriore occasione di guadagno per i soliti noti del self publishing? Gaughan, nemmeno troppo sommessamente, teme che la seconda ipotesi risulterà quella più probabile, ma certo sembra come sempre meglio esserci, per ragioni di visibilità, reperibilità, ranking. A mio parere potrebbe anche essere un modo per gli editori di cercare nuovi autori, magari proprio tra i self-publisher, e con un costo minimo (10 dollari al mese) poter sfogliare centinaia di libri che potranno essere i best seller di domani.

L’unica cosa certa è che il modello streaming si sta sempre più imponendo e il fatto che si sia mosso un gigante come Amazon avrà sicuramente ripercussioni su tutto il sistema editoriale e culturale legato al libro (qualsiasi cosa questa parola ora significhi). Si tratta, è bene notarlo, di una ulteriore e progressiva dissoluzione del concetto di “possesso” di un libro a favore di un modello in cui il fornitore concede l’utilizzo temporaneo di un contenuto che il lettore/utente in realtà non possiede né possiederà mai. Si tratta di un modello e di un concetto sbagliato, fuorviante, pericoloso? Alcuni dicono di sì, per molti invece la questione non si pone, dato che è la direzione del futuro e metterla in discussione non servirebbe a nulla.

A questo proposito vi lascio con due link che trattano proprio l’annosa e dibattuta questione sui vantaggi e gli svantaggi delle due modalità di lettura. Da una parte Loredana Lipperini in un articolo intitolato Sincronicità e mutazioni della lettura fa il punto della situazione con rimandi aggiornati ai testi più importanti sull’argomento; dall’altra un interessante articolo uscito sul Financial Times è stato tradotto e riportato integralmente su ebookextra.it (Non sarà una battaglia tra schermo e carta). La conclusione dei due articoli, in somma sintesi, è pressoché la stessa: la lettura digitale è un fatto che non serve ostacolare, ma utilizzare e indirizzare al meglio.
Se non si entra in questo ordine di idee e si resta ancora alla diatriba meglio la carta o il digitale, si perderanno molte occasioni. E molte buone letture, aggiungo io.