Leggere (e scrivere) non solo libri

Parlo anche per me, perché questo è un periodo di scarse letture a lunga gittata, diciamo così, ovvero di libri, o ebook o comunque letture di testi di una certa lunghezza, ampiezza, area e perimetro. Leggo molto, ma soprattutto articoli, un sacco di articoli trovati soprattutto nel web, ma anche riviste che acquisto o su cui opero uno scanning di qualche minuto in biblioteca.

treScrivere, idem: o meglio, il mio libercolo l’ho scritto anch’io, ma ho avuto anche l’idea di ampliarlo, approfondirlo e integrarlo (la carta si sa, si logora presto, tanto più i contenuti di saggi sull’oggi) in uno spazio digitale su Medium, uno di quei luoghi che esalta la lettura granulare, non strutturata in capitoli ma a monadi che si irradiano in link, in collegamenti, suggestioni, riferimenti.

C’è chi la chiama superficialità e i giornali mainstream ci vanno a nozze (vedi ameni articoli come questo sull’ebook che “ci rende superficiali”), quando invece si tratta di una diversa declinazione della lettura (e della scrittura) che merita approfondimenti e riflessioni un po’ più complesse (ci abbiamo provato in questo ebook collettivo quanto mai attuale: Letture, contenuti e granularità).

Fatto sta che lettura e scrittura sono ormai atti che non si esauriscono in una sessione, in una fase con un inizio e una fine precisi, ma si dilatano, si articolano in varie ramificazioni, devono aggiornarsi per restare vivi e abitare un mondo sempre più costituito di atomi e bit, un mondo il cui il pensiero è, se non fluido,sicuramente molto meno sedentario di prima.

C’è chi dice anche che la lettura e la scrittura si fanno sempre più social, anche se su questo ho ancora le mie perplessità, ma è anche vero che con progetti come Bookliners, Bookolico e, ultima arrivata, Lea di Laterza, si sta affermando una modalità di lettura condivisa, lettura che però rischia di frammentarsi ulteriormente – ed è qui la mia perplessità maggiore (ma ne parlerò in un altro post, magari intanto fatemi sapere che ne pensate voi).

Del resto, gruppi di lettura on line e forme embrionali di social reading sono anobii e Goodreads, i due maggiori social network dedicati alla lettura.

E concludo ritornando a me, e quindi anche a te, visto il rapporto sempre più stretto che c’è tra autore e lettore e dove i confini tra l’uno e l’altro sono sempre meno definiti. Concludo con l’invito ovviamente a leggere il mio saggio (se ti interessa l’argomento), ormai disponibile in ebook e cartaceo; invito a visitare lo spazio su Medium dove scrittura e lettura si estendono per approfondire, aggiornare e integrare i contenuti del libro; invito a commentare il tutto su anobii e/o Goodreads, se ne hai voglia. Invito, in definitiva, a non limitare la lettura a un gesto isolato, concluso in se stesso, ma a dargli un respiro più ampio, un volume, inserendolo in un ecosistema in cui coabitano più prospettive e più interpretazioni di una stessa narrazione.

marzo, mese di e-book sulla scuola e le tecnologie

cover_libroCos’ha in comune il mio saggio breve con altri due ebook usciti quasi negli stessi giorni e che affrontano in qualche modo gli stessi temi? Uno èteste-e-colli_cover-e1426062008435
Teste e colli. L’ebook sulla #BuonaScuola, un’iniziativa di Il lavoro culturale e curato ottimamente da Marco Ambra: giustamente eFFe su Medium parla di due libri che “dovrebbero parlarsi” e sicuramente c’è più di un’affinità elettiva tra i due lavori;

cover_800_600L’altro è Google Drive e la didattica, un manuale operativo e al contempo un interessante esempio di ebook partecipato all’interno di un progetto più ampio, il Laboratorio di Tecnologie Audiovisive del professor Roberto Maragliano.

Se la cosa vi incuriosisce e ne volete sapere di più, ne scrivo approfonditamente nel blog del mio saggio.
Vi aspetto lì!

Se ne parlerà in questo 2015: librerie, streaming per libri (e, come sempre, scuola digitale)

Sono almeno due mesi che vorrei trattare questi argomenti e l’ulteriore raccolta di elementi e nuovi annunci fatti recentemente non fanno altro che confermare quanto molti avevano già intuito: nel 2015 presumibilmente si parlerà molto di streaming, di librerie (e forse anche di biblioteche) e, naturalmente, si continuerà a parlare di digitale e scuola.

Streaming
Risale a pochi giorni fa l’annuncio di Scribd e Oyster della loro partnership con MacMillan che porterà migliaia di nuovi titoli disponibili in streaming nelle due piattaforme di lettura ad abbonamento (Amazon è partita con il suo Kindle Unlimited, ma senza i Big Five, cioè i primi cinque grandi editori mondiali). Ora, dice Andrew Weinstein,uno dei dirigenti di Scribd, sono quasi la metà dei Big Five a offrire i loro libri in streaming.
Se questo è sicuramente un colpaccio per le due startup (Scribd contiene oltre 500.000 titoli e gli utenti sono in crescita del 30% ogni mese; Oyster addirittura  ha oltre un milione di libri a poco meno di 10 dollari mensili), un articolo su Wired giustamente si domanda quale sia il reale vantaggio per gli editori, visto che lo streaming è un modello di business che mette in discussione moltissimi gangli sensibili dell’industria editoriale, dalla distribuzione all’annullamento in pratica del prezzo unitario per ogni opera e, non ultima, la questione dei diritti d’autore. La conclusione è semplice: data. Dati sul comportamento dei lettori, sul loro modo di leggere, sui tempi di lettura. Dati aggregabili, scomponibili e sicuramente utilissimi per future campagne marketing più mirate. Sono poche le piattaforme che mettono a disposizione dati di questo tipo, e Scribd e Oyster sono tra questi pochi. Un’esca troppo golosa anche per i pesci grossi, a quanto pare.
(Se vuoi approfondire l’argomento, oltre all’articolo linkato puoi leggere anche questo: Publishers Know You Didn’t Finish “The Goldfinch” — Here’s What That Means For The Future Of Books.)
E in Italia? Siamo ancora tutti (o quasi) in attesa di Lea, la piattaforma di Laterza, annunciata dalla primavera 2014, ma che ancora non ha emesso il suo primo vagito nel web. In compenso l’editoria periodica si organizza e crea Edicola italiana, una piattaforma per comprare, leggere e abbonarsi a quotidiani e riviste su tablet, pc e smartphone. Esperimento senza dubbio da seguire, per quanto sostanzialmente il problema, per i giornali e le  riviste, non mi sembra tanto di formato, quanto di contenuti.

Librerie

open4Può sembrare un paradosso, ma in un periodo di crisi congiunturale e ancor di più editoriale e culturale, in Italia aprono nuove librerie. Sono però librerie differenti da quelle che eravamo abituati a frequentare e soprattutto stanno rendendo una regola quella che prima era un’eccezione: l’offrire, accanto ai libri, qualcosa da mangiare e da bere, organizzare eventi, incontri, dare a disposizione gli spazi a chi li richiede e, naturalmente, una wifi aperta a tutti per navigare con ogni tipo di device.
Concentro l’attenzione su due casi in due contesti molto diversi: una metropoli del nord, Milano, e un paesino del centro, Penne.
In un mio recente viaggio di lavoro a Milano ho potuto personalmente sperimentare la bontà dell’esperimento di Open, una libreria che non a caso ha un “sottotitolo”: More than books. Girando per Open ho respirato un’atmosfera molto differente e piacevole, non solo per l’indubbia originalità dell’arredo (nel sito potete voi stessi fare una visita virtuale della libreria), ma soprattutto per il open3fatto che vedere una libreria piena di persone che studiavano, navigavano in rete, prendevano un caffè sfogliando le novità editoriali dava l’impressione di un’alchimia molto ben riuscita in cui convergevano internet cafè, libreria, biblioteca, bar letterario. Per non parlare degli spazi dati a disposizione per meeting, gruppi di studio, progetti creativi e qualsiasi altra idea si possa avere e non si sa dove poterla realizzare.

Simile, per molti aspetti, è Tibo, la libreria nata da poco a Penne, piccolo paese in provincia di Pescara e fondata da due giovani librai che, tengono a dirlo, a Roma avevano un posto fisso nelle librerie Arion, ma hanno deciso di fare qualcosa per il loro territorio: ne è scaturito un progetto ancora in progress, ma che vede già incontri letterari, concerti, un bar che serve una birra artigianale (sempre per valorizzare le realtà del territorio) e wifi per tutti.

La questione è: si può intersecare il mondo di queste librerie con la nuova dimensione editoriale che sta prendendo piede, la lettura in streaming? Io penso di sì, nel senso che lo streaming può avere una duplice funzione di utilizzo, soprattutto da parte dei recidivi del cartaceo: da una parte ci si può leggere testi per una semplice consultazione, e per studio, o libri che non teniamo a possedere fisicamente; dall’altra può costituire un ambiente dove sfogliare e selezionare quei libri che invece vale veramente la pena avere nel nostro scaffale analogico. Il fatto di poter fare tutto ciò direttamente in libreria può soltanto rendere più fluido, agevole e immediato l’intero processo, senza considerare che nel web possiamo scoprire più facilmente altri titoli affini che ignoravamo e che nella libreria fisica non è facile scovare.
C’è solo da aspettare per verificare se questa è solo la visione di un blogger febbricitante qual ora io sono o invece un auspicio realistico.

La scuola e il digitale
Infine non si può non parlare di scuola, che sembra ormai essere stata immessa in un processo di digitalizzazione che, partendo dal registro, sicuramente arriverà anche alla didattica. In un interessante articolo sulle 9 tendenze da tenere sotto osservazione per la scuola del 2015, mi soffermerei soprattutto su due di esse: gli spazi di apprendimento e la digitalizzazione dei materiali: i primi dovranno necessariamente cambiare e modificarsi in funzione di un nuovo tipo di didattica, una didattica che, veicolata (anche) dal digitale, mette però sostanzialmente alla ribalta metodi di oltre un secolo fa, come quello Montessori e la pedagogia “sociale” di John Dewey: in ambedue i casi lo studente è in primo piano, protagonista e attivamente coinvolto nel processo di apprendimento, che avviene anche e soprattutto  attraverso l’interazione con i suoi par in un contesto di condivisione, creazione di nuovi contenuti, verifiche continue su quanto fatto in base all’esperienza concreta. Non per niente già ai tempi Dewey parlava di “scuole nuove”, che forse la rivoluzione digitale potrà favorire.

Dall’altra parte, proprio il digitale deve fare un passo determinante: nell’articolo sopra menzionato infatti si riprende la distinzione di Gardner tra digitazion digitalization: con la prima si converte un contenuto da cartaceo a digitale, con la seconda si intende la creazione di un ambiente di apprendimento, multicanale, con una community e una riorganizzazione dei ruoli e delle competenze.

E questo, a mio modesto parere, dovrebbe in fondo riguardare anche il giornalismo, non solo la scuola.

Come finisce il libro: 4 considerazioni

di Salvatore Nascarella (@nascpublish)

Ho letto tempo fa Come Finisce il libro. Contro la falsa democrazia dell’editoria digitale. Quelle che seguono sono alcune considerazioni nate dalla lettura.
Cominciamo col dire che a me i libri che pongono domande piacciono molto, perché preannunciano risposte. Il nostro 33_comefinisceillibroinizia proprio così. Ancor più importante, se parliamo di saggi, è che siano riportati dati e fonti in maniera precisa e facilmente riscontrabile. Infine, per cercare di descrivere quel che sta accadendo nel complesso mondo editoriale serve una buona capacità di sintesi e organizzazione del pensiero per tenere viva l’attenzione di un lettore. Bisogna dire che su questi fronti Gazoia ha colto nel segno.
Quella di Gazoia (su Twitter @Jumpinshark) è un’analisi dello stato delle cose che riguarda la galassia del libro, digitale e non: è un percorso attraverso i mutamenti che stanno condizionando e ristrutturando l’editoria, è un dialogo diretto con il lettore, senza manie di protagonismo, con l’obiettivo di condividere informazioni e far conoscere meglio il settore editoriale.
Ho ricavato dalla lettura del libro alcuni spunti di riflessione.

1. Siamo propensi ad accumulare e in qualche modo possedere contenuti. Lo facevamo con quelli “analogici” e replichiamo gli stessi comportamenti con il digitale. Spesso cerchiamo contenuti che siano, almeno per noi, sempre nuovi. Questo implica da una parte una certa bulimia che interessa chi scrive, chi legge, chi promuove o si deve promuovere e dall’altra un flusso costante di fenomeni letterari. Altro elemento che condiziona la propensione all’accumulo, maggiore per l’ebook rispetto al libro fisico, è legato all’intangibilità del contenuto: nel digitale la percezione di spazio occupato, di presenza “reale” dell’oggetto da leggere è assai ridotta. L’incorporeità fa perdere il controllo visivo che siamo abituati ad avere sul libro (sul comodino, sugli scaffali, ecc.). Inserito in un contenitore che ne maschera la fisicità, il contenuto si può sottrarre alla vista: questo aspetto è parte integrante della spinta all’acquisto e modifica in profondità il sistema editoriale e la sua economia.

2. Lo scopo dei grandi player (Amazon, Apple ecc.), così come degli editori e dei distributori editoriali “indipendenti”, è vendere, vendere, vendere. Per vendere di più si cerca di dare al lettore ciò che vuole e per raggiungere lo scopo serve fare volumi, in senso di quantità. Nulla di anormale. La filiera editoriale è fatta di aziende che lavorano per il profitto, pagando stipendi, professionalità, strutture ecc. Come giustamente fa notare Gazoia, c’è un “però”: l’esclusiva attenzione al prezzo più basso e le questioni connesse a quale compenso debba percepire un autore per il suo libro occultano un nodo centrale e una difficoltà reale dell’editoria, ossia la promozione della lettura e del libro. Niente più prestito all’amico, niente (per ora) copie di seconda mano: sì, è vero, le biblioteche possono prestare ebook, così come diverse piattaforme di distribuzione digitale, ma il rientro nel mercato di un ebook già acquistato o più semplicemente il passaggio di un libro di mano in mano tra amici, tra lettori, subisce un brusco stop. Esistono alternative, usate soprattutto nell’editoria professionale e universitaria (Open Access, Creative Commons, Copyleft), che permettono a un contenuto di essere diffuso e condiviso con diverse articolazioni dei diritti d’autore: non è detto che questi modelli non possano trovare spazio e imporsi anche in altri campi della pubblicazione digitale. Il tempo ci saprà dire.

3. L’ammiccamento è la strategia adottata per conquistare il lettore. Ci provano i grandi player, i distributori, gli editori, gli autori (anche quelli del selfpublishing). D’altra parte gli strumenti per darsi da fare ci sono: le classiche recensioni, gli eventi, i blog e i social network. E ovviamente c’è il marketing. Un ammiccamento simile abbraccia anche i potenziali scrittori che sono invitati a far da sé, con i pro e i contro del caso. Fa parte della “cultura partecipativa” cui la rete in qualche modo ci sta abituando e che apre le porte a chiunque sia alla ricerca del quarto d’ora di celebrità, giocando con la diffusione virale e – perché no – fidelizzata delle storie. Il risultato può non rispondere alle aspettative degli autori e dei lettori, ma in ogni caso risponderà alle logiche di vendita. A dirla tutta, l’autopubblicazione digitale non è nata con gli ebook: i blog sono i padri dell’autopubblicazione. Avete presente quei diari o le raccolte di poesie e microstorie su web che tanto andavano di moda anni fa? Ecco, quella era una forma selfpublishing, libera, accessibile e gratuita. Ma quindi cosa sta cambiando? Ovviamente i blog continuano a esistere e, anzi, la tendenza è personalizzare sempre più la propria presenza in rete. La differenza maggiore è che esiste un modello di business legato ai contenuti: quelle raccolte di poesie e le microstorie digitali si possono vendere. A mio parere, la differenza maggiore sta però nel tentativo di far percepire come personale e intima la relazione lettore-venditore-autore. Per intenderci, si sposa bene con gli slogan “solo per te” e “anche tu puoi”. Qui sta appunto l’ammiccamento conquistatore.

4. Dobbiamo considerare un fattore di prospettiva dell’autopubblicazione: anche i contenuti digitali autopubblicati sono e saranno specchio del nostro tempo. Poco importa esprimere oggi un giudizio positivo o negativo sulla questione, perché di fatto anche il selfpublishing sarà un elemento attraverso cui i posteri potranno leggere e interpretare la nostra società, esattamente come noi facciamo con la lettura degli autori del passato. Ciò varrà sia per gli autori “nobili” sia per quelli non filtrati dagli editori, al di là del prezzo di copertina di un ebook o un libro, al di là del supporto elettronico su cui leggeremo. E non è che ciò sia meglio o peggio: semplicemente è. Siamo dentro questo tempo, immersi in questa trasformazione, e ci è difficile, se non impossibile, produrre un giudizio oggettivo. Possiamo solo analizzare quanto sta avvenendo per azzardarci a scegliere con maggiore consapevolezza.

Se l’intenzione del testo era rendere più consapevoli i lettori (e gli scrittori) di quanto avviene nella filiera editoriale alla luce dei cambiamenti che stanno caratterizzando il settore, il lodevole obiettivo è stato raggiunto.
Forse, ma dico forse, per chi lavora nell’industria del libro i contenuti saranno in buona parte già assai noti. Ciò non toglie che faccia bene alla sistema culturale e politico – in senso lato – del nostro Paese far conoscere al più vasto pubblico possibile quel che accade “dietro” un libro, digitale o meno, e più in generale in quale contesto si stia muovendo la realtà editoriale.
Ad ogni modo, possiamo stare tranquilli: la morte del libro non è ancora giunta e penso che tardi ad arrivare.

Tolino entra nel presepe degli ereader di Natale: è lui l’anti Kindle?

Sono tanti gli argomenti della settimana di cui potrei parlare: prima di tutto la fine della guerra tra Amazon e Hachette, poi la questione dellIVA al 4% sugli ebook (attualmente è al 22%) e, sempre a proposito di Amazon, l’inizio della collaborazione tra il colosso di Seattle e la Giunti. Ma si tratta di argomenti di cui potete trovare già molti articoli più completi e interessanti di quelli che potrei scrivere io, e quindi vi rimando volentieri alla loro lettura: sulla diatriba Hachette-Amazon non credo possiate un articolo migliore del post di Roberto Maragliano intitolato Guerra di posizione per il digitale in cui si fa riferimento a un’ottima sintesi in due parti di Andrea Patassini. Da parte mia, sulla guerriglia tra i due colossi non ho altro da dire e del resto mi ero già espresso in un post in cui enucleavo i 4 punti secondo me più importanti della questione (La questione Amazon-Hachette in 4 punti). Vorrei però evidenziare una riflessione di Maragliano a proposito di libri di carta e digitali: “Parlare di ‘libro di carta’ e di ‘libro digitale’ non permette infatti di cogliere tutto ciò che sta attorno e dà senso a realtà che sono irriducibili l’una all’altra, dunque restano due, e ben distinte tra di loro.” Il discorso di Maragliano è sul piano più della filiera produttiva e distributiva, ma ci traghetta in qualche modo verso la seconda vexata quaestio del momento, l’IVA al 4% sugli ebook, auspicata da molti, voluta veramente forse da pochi.  Tra i fautori dell’equiparazione fiscale del libro digitale e quello cartaceo stanno coloro che ritengono che tra i due contenuti non ci sia una differenza sostanziale, mentre ora l’IVA al 22% mette in modo blasfemo gli ebook sullo stesso piano di altri prodotti elettronici, tra cui i videogiochi.  E che cos’ha a che fare un videogame con un libro? Ce lo spiega Fabrizio Venerandi di Quintadicopertina nel suo pezzo Quando il videogioco è letteratura?, mentre un’ottima riflessione complessiva sull’argomento la fa il solito Giuseppe Granieri nelle  sue 5 considerazioni sull’IVA e sugli ebook Se siete comunque curiosi, le ultime notizie danno un Franceschini combattivo e determinato a essere il paladino numero uno della campagna #unlibroèunlibro, sfidando addirittura le decisioni della Commissione Europea,come già da tempo ha fatto la Francia. In mezzo a tutto questo fragore Giunti inaugura una collaborazione con Amazon e con Giunti al Punto propone una sorta di sinergia ebook-libro cartaceo e libreria online/libreria fisica. Un progetto che può suscitare perplessità, ma che vale comunque la pena di seguire anche con curiosità, così come quello di Messaggerie che vuole coinvolgere i librai indipendenti nell’operazione Tolino e che ci porta al terzo e vero grande argomento della settimana.

tolino

Tolino Shine

Infatti la vera notizia viene dalla Germania, ed è il sorpasso nelle vendite dell’ereader Tolino sul Kindle: ne ha parlato in modo approfondito Il libraio (a proposito, anche questa è una novità da tenere d’occhio), che menziona anche l’accordo che Ibs.it ha fatto con Deutsche Telekom per la vendita  dell’ereader qui in Italia: per ora i modelli sono due, Tolino shine e Tolino vision 2. Tutto ciò fa presupporre che Tolino soppianterà il fantastico Leggo della stessa Ibs, ma credo che non se ne accorgeranno in molti.  Piuttosto, chi è curioso di saperne qualcosa di più legga questo articolo in cui si mettono a confronto il Kindle Voyager e il Tolino vision 2 e in cui si conclude che il Kindle è migliore, ma costa un po’ di più.  Tolino non esce molto bene nemmeno da questo slalom parallelo a tre, dove si confronta la luminosità del Kobo Aura, del Kindle Paperwhite e, appunto, di Tolino, che risulta avere la luce peggio distribuita sullo schermo e meno facile da regolare. La recensione è in inglese, ma le immagini, come si suol dire, valgono più di mille parole.

Comunque i dati che vengono dalla Germania fanno già parlare di Tolino come del famigerato “anti Kindle” che molti aspettavano. Sarà veramente così? Di sicuro, per questo Natale avremo un’opzione in più da considerare, perché comunque Tolino sembra un ottimo ereader e ha le potenzialità giuste per competere con i vari modelli del Kindle. P.S: A proposito, qualcuno di voi ha già in mano il lettore made in Germany? Se mi manderete le vostre impressioni e valutazioni sarò lietissimo di inserirle magari in un post futuro.