leggere (e scrivere) tra le nuvole: perderemo davvero la letteratura?

Un interessante post dell’amico Arturo Robertazzi sul suo blog Scrittore computazionale fa il punto della situazione sul dibattito che verte intorno alla figura dello scrittore ai tempi del digitale. Arturo fornisce i riferimenti e i link più importanti e significativi, e rimando in generale al suo articolo per l’intera riflessione.

La questione, in sostanza, è se e come la lettura e la scrittura stiano cambiando nell’era del supporto digitale. Sicuramente questo accade e penso sia importante riflettere sulle declinazioni nuove che sta acquisendo l’atto del leggere non (solo) su carta e, di conseguenza, come chi scrive si dovrebbe adeguare. Stiamo andando davvero verso quella  lettura pre-gutenberghiana, “intermittente, digressiva e collettiva” di cui parla il filosofo francese Antoine Compagnon sull’ultimo numero della rivista francese Le débat?

Anche nel mondo anglosassone ci si sta interrogando sul rischio che la lettura di un testo narrativo di una certa lunghezza sia destinato a essere un atto sempre più raro nel mondo digitale della distrazione e del flusso inesauribile di dati, informazioni e testi. Qui l’articolo comparso sui Star intitolato “La letteratura è il nuovo latino” e qui una sintesi e una riflessione di Lucio Bragagnolo a riguardo.

Il dibattito, insomma, è ormai avviato e sicuramente vale la pena seguirlo, perché riguarda non solo lettori e scrittori, ma tutto l’ambiente dell’editoria e della comunicazione in generale.

Attendo anche le vostre impressioni, ovviamente.

Il tablet in classe non fa la scuola digitale

Nel web si continua a parlare di scuola e uso delle tecnologie e per l’occasione mi sono segnato alcuni articoli che credo sia bene condividere con i venticinque lettori di questo blog.
Si inizia naturalmente dalle dichiarazioni d’intenti del ministro Profumo e la sua aspirazione ad una scuola già in fase mutante, un ibrido quasi volponiano, mezza aula e mezzo tablet.
Poi però basta leggere la semplice testimonianza di un volenteroso padre di uno studente della scuola media per toccare con mano i limiti non tanto scolastici quanto editoriali di una trasformazione che ancora non è stata del tutto elaborata nemmeno dagli editori specializzati, i quali per ora propongo mesti PDF per andare incontro (e, diciamolo, anche in qualche modo aggirare) le disposizioni del fu ministro Gelmini.
La questione è comunque molto più complessa e se ne accennano i contorni in questo articolo comparso qualche giorno fa sul Sole 24 ore: casi virtuosi, idee interessanti che comunque dimostrano un’attività carsica costante in questo ambito, ma anche la consapevolezza che prima che tra le mani dello studente il tablet dovrebbe andare tra quelle degli insegnanti, affinché si possano creare i veri presupposti di una didattica 2.0 o quello che sia, in ogni modo una didattica che non debba per forza utilizzare le nuove tecnologie, ma ne debba comunque tenere conto. Per quale motivo? Se non altro, come dice giustamente questo articolo sul Guardian, per portare gli studenti cosiddetti “nativi digitali” (con tutti i limiti che tale definizione impone) da una confidenza tecnologica a una consapevolezza tecnologica, che è ben altro e presuppone la capacità di selezionare e filtrare le fonti informative ormai incessanti per darne, oltre che un’interpretazione,   una narrazione personale. Per prepare, o almeno far sì che i giovani siano pronti, a mestieri che ancora non esistono e non basandosi solo su quelli attuali.

Rimando infine a questo bel post in cui si enucleano alcuni elementi del DNA della nuova educazione: cartaceo o digitale, l’apprendimento deve essere meno statico, più flessibile e improntato alla realizzazione concreta di un progetto personale, lo sviluppo di una capacità di approfondire ciò che la rapidità attuale fa apparire illusoriamente superficiale e poco degno di attenzione. Il web non è solo flusso, è anche link, pensiero laterale, ricerca in verticale oltre che condivisone orizzontale. È qui che entra in gioco la consapevolezza tecnologica di cui sopra.

Vengono in mente le sempre attuali Lezioni americane di Calvino, dove si parla di rapidità e leggerezza e in cui  già il mondo dei bit era visto come un nuovo paradigma le cui caratteristiche – rapidità e leggerezza, appunto – non erano viste come  negative ma anzi come armi il cui buon uso sarà indispensabile per capire e vivere il presente.

Alla scuola l’onere di fornire le istruzioni per l’uso. Sarà all’altezza? Facciamo tutti in modo che lo sia.

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La scuola digitale? Intenti lodevoli, esiti (per ora) avvilenti

Innovazione ed educazione

La moltiplicazione degli ebook e dei lettori

Segnalo e raccomando vivamente un bell’articolo apparso oggi sul Manifesto intitolato Lettori forti in fuga verso il digitale  in cui, prendendo spunto da un’inchiesta sulla lettura di cui avevo già parlato qui, si fa una rapida ma esaustiva sintesi dello stato delle cose per quanto riguarda la lettura digitale, le politiche editoriali, la questione del prezzo e le problematiche legate alle biblioteche (sulle bilioteche digitali, rimando anche a quanto apparso qui nel mio blog).
L’articolo pone molte questioni, ma come è inevitabile le lascia tutte aperte, tanto ancora la situazione in Italia è allo stato embrionale e tutta da definire. Tuttavia la lettura è molto istruttiva e pregna di riflessioni su cui tutti, dai lettori agli editori fino agli scrittori, avranno da meditare.

Più ironico e di stampo tipicamente british invece questo articolo di un simpatico voyeur londinese, che scruta i lettori nel tube della capitale britannica e ne trae la conseguenza che chi viaggia in metropolitana usa preferibilmente il Kindle (pochissimi Sony e Kobo, osserva), mentre per la lettura casalinga è prevalente il tablet. Interessanti anche i commenti al post, che danno indicazioni diverse a seconda della località dell’osservatore.

La cosa è intrigante e mi piacerebbe estenderla anche ai mezzi di trasporto italiani, con il vostro aiuto: dove vivete voi che tipo di lettore digitale prevale? Sono pochi o iniziano a essere più di prima? Che e-reader usano?  Magari riusciamo a fare, tra il serio e il faceto, una mappatura della lettura digitale in Italia, se non per città almeno per aree geografiche.

Coraggio, aspetto i vostri contributi!

 

Una scuola senza carta? Per ora solo quella igienica

Inizia l’anno scolastico e il ministro Profumo annuncia che sua intenzione è una scuola con sempre meno carta (quella igienica manca da un pezzo, ha ironizzato qualcuno). Sappiamo tutti quanto valgono le promesse dei marinai e dei ministri e comunque per il momento il panorama sembra piuttosto sconfortante, tranne alcune eccezioni (lo dice anche Caterina Policaro qui).

Ma come potrebbe essere la scuola del futuro? La tecnologia è davvero necessaria tra i banchi di scuola?
Sono tutti argomenti che ho già trattato in questo blog e sempre più spesso mi imbatto in articoli come questo in cui si pone a mio parere la questione secondo la prospettiva giusta. Cito qualche passo, consigliandovi ovviamente la lettura integrale del pezzo:

“I profondi problemi dell’educazione, sia vecchi che nuovi, hanno bisogno della tecnologia per essere risolti, ma deve essere una tecnologia rinnovata e appropriata capace di rispondere adeguatamente a queste esigenze.”
“Rinunciare all’uso della tecnologia nel sistema educativo avrebbe senso in una società che rinuncia completamente alla tecnologia in ogni altro settore, dato che l’educazione è un mezzo per preparare l’inserimento nella vita sociale”.
“La questione non è se usare o meno la tecnologia, quanto qual è la tecnolgoia più adatta e meglio incorporabile nel sistema educativo”.

A parte le sperimentazioni in Italia già citate nel post della Policaro e una che riporto alla fine tramite un video, vale sempre la pena vedere come ci si mupve oltreoceano, dove le tendenze sono sempre anticipate (se non create) e dove la maggiore familiarità con la tecnologia permette una sperimentazione su più larga scala. A questo proposito, un articolo recente riassume bene quali sono i maggiori players nel settore della didattica e cosa fanno.
Il quadro vede per ora  quattro protagonisti; la Khan Academy, le piattaforme di apprendimento Udacity e Coursera e infine il progetto edX (qui un articolo in inglese che traccia le principali caratteristiche di tutti e quattro i soggetti menzionati)

La Khan Academy è stata fondata nel 1998 da Salman A. Khan, un insegnante di matematica a cui venne in mente di creare un sito, per aiutare il nipote assente da scuola, e inserire un  video su Youtube in cui gli spiegava un argomento della materia. Il video fu apprezzato, e non solo dal nipote di Salman, tanto da divenire virale.
Ora il sito contiene più di 3300 video visti da 179 milioni di utenti.
Lo scopo è quello di offrire materiale didattico supplementare e in una modalità diversa  rispetto a quello tradizionale.

Udacity è una piattaforma per l’erogazione di contenuti e materiali didattici fondata da alcuin ricercatori e professori dell’università di Stanford. Ad oggi 112.000 studenti usufruiscono liberamente dei corsi consistenti in brevi video dei docenti universitari corredati da quiz ed esercitazioni. Volendo, alla fine del corso lo studente può ricevere un certificato che attesti il completamento del ciclo di studi in una materia specifica.

Coursera è stata lanciata poco dopo Udacity e offre corsi di 16 università tra cui Stanford, Princeton e anche facoltà da altri paesi come Scozia, India, Canada e Svizzera. Come Udacity, si tratta di lezioni via video ed esercizi interattivi, quiz e test di rinforzo, nonché attività tra pari. Coursera ha attualmente 680.000 studenti in tutto il mondo e, accanto ai corsi gratuiti, prevede un servizio premium a pagamento.

Infine edX: nato come costola del progetto MITx (cioè l’idea di far seguire alcuni corsi del famoso MIT via web), comprende ora una serie di prestigiosi atenei americani, che in questa piattaforma di apprendimento si chiamano HarvardX, BerkeleyX e via dicendo.   Corsi e certificati sono per ora gratuiti ma con la prospettiva di far pagare per certificazioni più solide in futuro.

Alla base di queste operazioni sta il concetto di flipped classroom e il desiderio di dare a tutti la possibilità di frequentare corsi universitari o di specializzazione, anche a chi non ha i mezzi per farlo o le distanze glielo impediscono.
Possono questi modelli fornire esempi da seguire anche in Italia? Probabilmente è troppo presto per dirlo; sono certo comunque che è sempre possibile trarre da ogni esperienza gli elementi più interessanti ed adattarli al proprio contesto per sviluppare un percorso autonomo e originale.
Ma per tornare agli esempi virtuosi in terra italiana, concludo con il video promesso all’inizio, che sicuramente costituisce un nuovo solco tracciato nel campo della didattica nelle tecnologie, come la chiama giustamente Dianora Bardi, una pioniera del settore.

Canada, terra di ebook

Il Canada è noto per il poutine, i parchi naturali, la gente cortese, lo sciroppo d’acero, le giubbe rosse.

Insomma, uno si aspetta un Paese di boscaioli sereni e… invece scopre un mondo di lettori di ebook! Li vedi in metropolitana, seduti a un tavolo in attesa di cibo, per strada, in auto e buttando l’occhio sull’ereader, il tablet o lo smartphone del caso ti accorgi che stanno proprio leggendo libri. Davvero.

Ok, non c’è da stupirsi: gli italiani si dice che leggano poco, quindi leggono anche pochi ebook e comunque vuoi mettere quanto sono più “cool” le App?!

Mi son dato alcune ragioni per spiegare il fenomeno canadese, alla luce di qualche giro nelle librerie e della visita casuale a una piccola biblioteca che ha sede in una chiesa sconsacrata di Quebèc City. Il succo è che credo sia, anche, una questione strutturale.

Ad esempio, la piccola – ripeto, piccola! – biblioteca quebecchese oltre ad avere un discreto catalogo di libri cartacei, dava la possibilità di accedere al prestito degli ebook e se volevi potevi prendere in prestito anche un ereader a scelta tra 3 modelli diversi (o 4, non ricordo). I modelli erano esposti vicino al banco del prestito, assicurati contro eventuali furbetti, ma potevano essere toccati, provati, “sfogliati”. E non erano modelli preistorici. Avrei voluto fare foto per avere testimonianza visiva, ma mi sembrava poco carino. Ne ho fatta solo una mentre uscivo.

Servizio fotografico a parte, è indubbia la capacità e la volontà “politica” delle biblioteche di accogliere l’editoria digitale e di metterne i prodotti a servizio del pubblico.

Sì, perché in Canada, le biblioteche pubbliche hanno investito in ebook. Per farvi un’idea degli investimenti, dei risultati e della logica che sta dietro a questa scelta vi consiglio di dare un’occhiata a due articoli: Borrowing eBooks from Canadian Libraries Is on the Rise e Cresce il prestito di ebook in Canada

Passo rapidamente alla questione librerie tradizionali. Mi ha stupito che un punto vendita di una grossa catena canadese (su tre piani) avesse piazzato praticamente all’ingresso e in bella vista per chiunque entrasse un tavolo con degli ereader (Kobo) con libertà da parte dei clienti di sfogliare su supporto digitale le novità appena uscite.
Sul tavolo c’erano solo gli ereader. Niente articoli da cartoleria, nessun altro apparecchio tecnologico o bestseller impilato: solo gli ereader e la loro promozione. A un passo dal tavolo, 3 scaffali di accessori per ereader (custodie, lampade per leggere di notte, proteggi schermo ecc.). Per carità, per esser messo lì quel prodotto deve vendere a sufficienza e avere il suo appeal, ma è anche questione di scelte di posizionamento in libreria. E in ogni caso, gli ereader erano accesi, funzionanti e con testi caricati e consultabili.

Ora, è vero che Kobo è un’azienda franco-canadese e che Kobo era gran parte degli ereader che ho visto anche in giro, è verò che in Canada Kobo controlla il 47% del mercato degli ebook. Come dire, gioca in casa.
È però altrettanto vero che le resistenze incontrate da noi per far convivere nello stesso spazio libri ed ebook sono dure a morire. Sarà la crisi, la lotta per monetizzare in tempi rapidi, lo spazio disponibile, ma in Italia non vedo ancora un modello di business che accompagni la libreria tradizionale a servirsi del digitale.
Se avete esperienze diverse, ditemi!

In fin dei conti, la lettura è pur sempre la lettura. Non importa con quale formula o piattaforma si legga: è questione di diffusione della cultura. Questo concetto sta, forse, alla base della questione strutturale cui mi riferivo all’inizio del post.
Il Canada non è il paese di Bengodi, sia chiaro, ma considero l’esperienza canadese in fatto di editoria digitale e mercati un test riuscito, almeno per quel che ho visto.

Salvatore Nascarella (@nascpublish)