Editech 2012: l’editoria e il suo centro di gravità (im)permanente

Non sono stato a Editech, ma come sempre twitter durante e alcuni intelligenti post dopo hanno messo in evidenza le questioni e gli argomenti più importanti emersi. Parto subito dalla sintesi e la riflessione in due parti di Luca Calcinai (la trovi qui), che giustamente nota, come anche era venuto spontaneo pensare a me in un tweet durante le sessioni, che finalmente gli editori parlano la stessa lingua dei lettori, i quali dicevano (dicevamo) le stesse cose già due anni fa e a quanto pare, tra un Ifbookthen, un Ebook Lab Italia e un Librinnovando, le hanno capite anche gli addetti ai lavori.

Permane, condivido il dubbio di Luca, l’interrogativo se poi gli editori e gli esperti del marketing editoriale abbiano mai letto almeno un libro intero in formato digitale, ma magari nel 2013 assisteremo anche a questo, Maya permettendo.

Stando a quanto ho letto, mi sembra quindi che l’edizione 2012 di Editech abbia confermato quel momento di riflessione e quel clima di consolidamento (come dice benissimo nel suo post Noemi Cuffia, alias @tazzinadi) che sta vivendo l’editoria italiana dopo l’impatto contundente con l’ebook nel 2010 e poi l’arrivo di Amazon Italia nel 2011 che ha rimescolato le carte e messo tutti di fronte ad un nuovo modello di business da imparare e  non solo da imitare, ma (magari) superare.

(Io stesso mi accorgo che quanto ho scritto in questi due anni di leggoergosum continua a rimanere attuale anche a mesi di distanza proprio perché ora il dibattito si sofferma su aspetti e problematiche individuate da noi neofiti già da qualche tempo. Il risultato è che scrivo di meno, con sollievo di mia moglie)

Molto interessante l’articolo di Ivan Racheli su Apogeonline, che mette in luce forse uno dei veri  concetti nuovi espressi nel convegno: il passaggio da editoria digitale a editoria scalabile, dove i contenuti sono veicolati in qualunque formato e attraverso qualunque medium.  Si tratta di quel processo di “webizzazione del libro” o di “librizzazione del web” di cui parlava O’Reilly tempo fa? Fatto sta che il compito dell’editore ora consiste nel capire come gestire al meglio e far proprio questo spostamento di prospettiva e questo nuovo modello di produzione culturale, con l’occhio inoltre sempre attento al rischio di disintermediazione possibile con il self-publishing, di cui si parla con sempre maggior frequenza e insistenza anche in Italia (a tale proposito segnalo l’ultimo articolo di Giuseppe Granieri che da un po’ di occupa dell’argomento in maniera costante)

Infine, visto che argomenti come il prezzo dell’ebook e il DRM sono stati ovviamente ingredienti d’obbligo delle discussioni a Editech 2012, consiglio la lettura di un bell’articolo dal titolo eloquente: Making e-book is harder than it looks (fare ebook è più di quanto sembri) in cui si spiega  -e anche in questo caso vale il detto repetita juvant  – che fare un libro digitale non è affatto né semplice né economico e che l’annosa questione valore-prezzo ha un senso ed è giusto riproporla e parlarne.

Immagine: alcune statistiche fornite durante Editech 2012

alcune riflessioni sul self-publishing

Era da un po’ che volevo palrarne e, come spesso accade, Giuseppe Granieri mi ha anticipato coprendo l’agomento molto bene e con dovizia di link, ieri su La Stampa.

Non si tratta certo di un argomento nuovo, io stesso ne ho parlato già più volte anche con interlocutori più esperti di me (tra tutti, Mauro Sandrini e Luca Lorenzetti) e in generale questo blog è disseminato qua e là di riflessioni, breve o lunghe, sull’argomento self publishing.
Tuttavia, anche in seguito a questo post che in sostanza dice che per ora il fenomeno non sta assolutamente intaccando il business dell’editoria a pagamento, mi sembra giusto fare un attimo il quadro della situazione:

a) Il self publishing  digitale non è un fenomeno di breve-medio periodo. Come ho detto già altre volte, prima si deve creare un mercato e perché esista mercato si deve formare il lettore, e il lettore si sta formando gradatamente, con molta cautela, come è naturale in questi frangenti di estrema fibrillazione editoriale e incertezza sul futuro (ma anche sul presente).

b) Guardando gli esempi di oltreoceano e oltre Manica, mi sembra si possa dire che esistono sostanzialmente tre strade per il self publishing:
– l’autore esordiente desidera vedere pubblicato il proprio capolavoro (ogni scarrafone, si sa…) e dopo vari rifiuti o richieste di denaro, decide di farlo autonomamente (vedi i tanti che sfruttano già da tempo piattaforme come Lulu).
Sembra, a detta di quasi tutti, la scelta più perdente (vedi i link nell’articolo di Granieri succitato, ma si tratta di cose scritte altrove – anche qui -mesi e mesi fa). L’esordiente assoluto deve faticare moltissimo per rendere visibile il proprio lavoro e deve saper usare benissimo blog e social network (e a questo riguardo citerei il caso italiano di Alice senza niente). Non è cosa da tutti, e soprattutto un carico di lavoro tale che non può prolungarsi molto (infatti penso proprio che d’ora in poi Pietro De Viola si affiderà – anche – all’editoria tradizionale, per i prossimi suoi libri).
– L’autore self publisher di successo (caso non così frequente come si pensa), dopo due o tre best seller, decide di rivolgersi ad un editore “tradizionale”: fece scalpore la scelta in tal senso di Amanda Hocking e quella, in senso contrario, di Berry Eisler, che ci porta alla terza strada;
– L’autore cartaceo di successo che passa al self publishing, forte di un consistente pubblico di riferimento che lo segue. In questo caso l’autore di successo può decidere di passare al self publishing magari continuando anche in parte la strada cartacea e configurandosi così come scrittore ibrido, di cui avevo letto e scritto tempo fa.

In ogni caso la si veda, mi sembra evidente che ci siano alcuni punti fermi:
– il self publishing richiede un grande lavoro di promozione, nei social media e fuori: l’autore deve essere il miglior promotore di se stesso e del proprio lavoro e quindi avere auspicabilmente una buona comunità online a cui rivolgersi, o saperla creare in maniera abile, con continuità e una presenza attiva nel web sempre pronta a trasformarsi in presenza fisica per un reading o un incontro concreto con il pubblico.
– Data la difficoltà del punto precedente, la disintermediazione dell’editore significherà sempre di più l’attivazione di servizi editoriali articolati e integrati, allo scopo di dare al libro quella qualità e quella professionalità sotto il punto di vista grafico, promozionale e soprattutto letterario, che solo l’occhio esperto di un editor capace, l’esperienza di un grafico di mestiere e la conoscenza della comunicazione di un esperto del settore possono dare.
In pratica, si ricreerebbe la catena di produzione (ma non di distribuzione) che era propria dell’editore, ma questa volta in mano all’autore, padre-padrone del proprio lavoro letterario.
Per quanto riguarda i conti in tasca all’autore, li ha fatti benissimo tempo fa il Duca, al cui pezzo rimando volentieri. Anticipo che dall’analisi, molto verosimile, del Duca, i margini di guadagno ci sono, a patto che però il libro sia di qualità e l’autore abbia l’umiltà  sufficiente di affidarsi a chi ne sa più di lui, non solo di marketing o di grafica, ma – incredibile dictu – anche di scrittura, o meglio di editing,  un mestiere sempre più in estinzione e proprio per questo prezioso.

L’immagine è tratta da qui

La primavera digitale dell’editoria e altre stagioni. Battiato la sa

Il Salone del Libro mi ha ricordato quest’anno un paio di canzoni di Battiato, che secondo me la sa lunga in questione di stagioni.

La prima canzone cita: “E ti vengo a cercare anche solo per vederti o parlare perché ho bisogno della tua presenza per capire meglio la mia essenza”. Ecco una perfetta definizione del lettore forte e del
suo rapporto con il libro, perfetta anche come definizione del visitatore medio del Salone e delle sue aspettative.

La seconda è “La primavera intanto tarda ad arrivare” presa da Povera patria. A parte il riferimento sempre attuale alla situazione del nostro Paese, non poteva esserci contraltare migliore allo slogan “Primavera digitale” sposato dal Salone del Libro 2012, che spingeva l’acceleratore sul digitale, non sapendo però bene dove andare. Per quanto abbia cercato di accogliere le contaminazioni digitali, la manifestazione non è riuscita a mio parere nel suo scopo: far conoscere un settore in crescita con le sue sperimentazioni, i suoi
attori e, soprattutto, le sue potenzialità. È vero, gli interventi sull’editoria 2.0 non sono mancati, non sono neppure mancati gli articoli sui quotidiani, ma è mancata la volontà di volerci capire davvero qualcosa da parte dell’organizzazione. Alcune relazioni erano fuori tempo ─ davano per nuove cose già “vecchie” di un anno ─, altre mostravano evidenti buchi di competenza da parte dell’oratore o portavano fuori tema. Lo spazio destinato a Book to the future era piccolo e spesso, causa la posizione infausta, a fatica si potevano
sentire gli interventi senza uno sforzo di concentrazione abnorme. Eppure la sala ha sempre avuto pochi posti liberi. La mia impressione è che parlare di editoria digitale sia stata vissuta un po’ come cosa da fare perché non si poteva non fare. Ok, stiamo parlando di un mercato che oggi rappresenta forse solo 1,2% (0,9% a fine 2011, secondo i dati AIE) del mercato editoriale, ma da un Salone “digitale” ci si poteva aspettare qualcosa di più…

Meno male che l’area digitale del Salone si è saputa difendere da sé. Bookrepublic ha avuto la solita buona idea per avvicinare i neofiti dell’ebook, con i suoi sacchetti pieni d’aria che nascondevano ben 10 ebook gratis e buona parte degli interventi sono stati davvero interessanti, pur se “ruspanti” e informali.

Ah, ad Amazon ho chiesto per curiosità quanti Kindle avesse venduto nei giorni del Salone. La richiesta l’ho fatta sia via Twitter ad Amazon.com, sia ad Amazon Italia: ovviamente nessuna risposta è pervenuta, né ho letto dati ufficiali altrove. Sarebbe stato carino avere qualche informazione, no? Lo stand comunque era
sempre pienotto.

Ora, il punto è che c’è ancora molto da fare per arrivare a una cultura diffusa del lavoro editoriale, del libro e dell’editoria digitale. La responsabilità spetta innanzitutto agli addetti ai lavori.

Ne sono convinto anche perché mercoledì scorso ho partecipato come relatore al Digital Experience Festival che si è tenuto a Torino: ho cercato di dare una rapida panoramica sul passaggio dalla carta al
digitale, anzi, sulla convivenza tra carta e digitale in una casa editrice medico-scientifica. Mentre raccontavo l’esperienza di SEEd in questa fase di meticciaggio tra vecchie e nuove forme di lettura, tra marketing digitale e dispositivi di lettura, osservavo i miei spettatori. Alcuni visi erano confusi, altri avevano un grosso punto interrogativo sulla testa. Avevo dato qualcosa per scontato: che molti sapessero di che si stesse parlando. A conferma del mio errore una delle domande successive alla relazioni è stata: “Ma sull’ebook come faccio a mettere un segnalibro, come faccio a sottolineare?”. Uno degli altri relatori a fine intervento mi ha detto: “Non avevo mica capito che faceste quel lavoro” (nda. in quanto editori). Ne deduco che ci sia ancora molto da fare, che sia necessario lavorare in rete tra professionisti del settore, autori, blogger e lettori forti per uscire dai fraintendimenti e da false aspettative, e che esperienze come #libroincorso, di cui ho scritto qualche tempo fa, siano da replicare. D’altra parte, non è un modo come un altro per trovarsi intorno a un tavolo e parlare delle proprie passioni?

A proposito di iniziative sull’ebook, ve ne segnalo una interessante da poco partita in quel di Genova: 3 incontri sull’ebook e quel che sta accadendo in editoria con tanto di streaming e hashtag #genovaebook. Da non perdere.

Da segnare in calendario anche gli ormai prossimi Editech e If Book Then Summer Edition.

Nell’attesa di un più fertile “autunno digitale”…

di Salvatore Nascarella (@nascpublish)

dalla filiera del libro alla rete del libro

Qualche mese fa ho suggerito la lettura di un bell’articolo spagnolo sull’editoria digitale, che sintetizzavo dandone una mia (pur imprecisa) traduzione. Ultimamente mi sono imbattuto in un altro articolo, questa volta in francese, che in 10 punti risponde in maniera sintetica e allo stesso tempo articolata a una serie di domande importanti per l’editoria digitale. L’articolo si intitola  Eteins ton livre, il est tard e se sapete un po’ il francese vi consiglio ovviamente la lettura integrale. Si tratta a volte di affermazioni non certo nuove, a volte condivisibili o meno, ma sicuramente il tutto mi sembra un’efficace sintesi di questioni continuamente discusse e che resteranno credo a lungo al centro del dibattito.

1. I lettori forti preferiscono il digitale? Falso
I lettori forti sono i meno sensibili al supporto: quello che vogliono è semplicemente leggere, e ci ricordano che un libro significa due cose: un autore che scrive e un lettore che legge. Poco importa il supporto o il canale di vendita.

2. Gli anziani non amano gli e-reader? Falso
Ultimamente sono proprio loro che si avvicinano alla lettura su supporto digitale, per la semplice ragione che finalmente trovano qualcuno che pensa a loro e gli permette di ingrandire i caratteri. Gli anziani inoltre non rifiutano a priori le tecnologie, se vedono che esse possono offrire vantaggi concreti. Di fronte alle tecnologie della comunicazione la frattura è più sociale e culturale che generazionale.

3. Tutti i libri si assomigliano, in fondo. Falso
La differenza tra tablet e e-reader consiste, si sa, in due caratteristiche: con i primi si legge e si può fare anche altro, i secondi sono solo per la lettura; ma soprattutto i primi sono retroilluminati e i secondi no. Quindi con i table si legge meglio con il buio ma non si legge di giorno, con gli e-reader vale il contrario. La scelta non è troppo complicata, in fondo, non più di tante altre che facciamo giornalmente.

4. Si legge meno di un tempo. Vero ma falso
Non si legge di meno, si legge di più, ma in modo atomizzato, tutto e non importa cosa. Non ci si informa di meno, si consumano più segni, messaggi, codici… Leggere non è più sinonimo di stampa o di libro. Non si cerca più di acquisire il sapere, ma si cerca di sapere dove trovare l’informazione.

5. Il libro cartaceo morirà? Falso
Non morirà, ma perderà la sua “sacralità”. Tra trent’anni, lo si manipolerà come ora un vecchio vinile. Una volta che i nativi cartacei saranno quasi scomparsi, non si porrà più la questione di un supporto, ma di una cultura, una certa idea di scelta, di riferimenti, di modi di consumo di un prodotto culturale.
Il cinema, la televisione sono ormai on demand, la musica si è dematerializzata, il libro è l’ultimo a resistere, Fino a quando?

6. Il libro è poco piratato? Vero e falso
Dati recenti dicono che appena l’1% di libri in commercio accessibili ai pirati, si parla cioè di 3-4000 titoli. I pirati sono soprattutto geeks e adolescenti. Il metodo più efficace contro la pirateria è il prezzo. E se da una parte è vero che senza la stampa (10% del costo) e la distribuzione (55%) l’editore potrebbe benissimo abbassare di molto il prezzo dei libri, dall’altra è piuttosto improbabile, almeno per ora, che lo faccia.

7. Le librerie scompariranno? Quasi vero
La maggior parte delle librerie è destinata a scomparire entro una quindicina d’anni, ma la loro crisi risale indubbiamente prima della comparsa del libro elettronico, che comunque accelererà questo processo.

8. Gli editori scompariranno? No
No, ma il mestiere dell’editore cambierà. A questa mutazione contribuirà molto il self publishing, che avrà un ruolo sempre maggiore nel digitale.

9. And the winner is… Amazon
Non c’è dubbio che Amazon portato un modello di business vincente con cui, piaccia o no, tutti devono fare i conti, se vogliono sopravvivere.

10. A cosa assomiglierà il libro domani?
A un file, come sta già accadendo. Ma un file che offre una possibilità molto importante, quella di commentare il libro che si sta leggendo e condividere la lettura con altri. E’ il passaggio dalla filiera del libro (autore-editore-libraio-lettore) alla rete del libro (testo/autore-lettore), nel bene come nel male, come sempre.