Se ne parlerà in questo 2015: librerie, streaming per libri (e, come sempre, scuola digitale)

Sono almeno due mesi che vorrei trattare questi argomenti e l’ulteriore raccolta di elementi e nuovi annunci fatti recentemente non fanno altro che confermare quanto molti avevano già intuito: nel 2015 presumibilmente si parlerà molto di streaming, di librerie (e forse anche di biblioteche) e, naturalmente, si continuerà a parlare di digitale e scuola.

Streaming
Risale a pochi giorni fa l’annuncio di Scribd e Oyster della loro partnership con MacMillan che porterà migliaia di nuovi titoli disponibili in streaming nelle due piattaforme di lettura ad abbonamento (Amazon è partita con il suo Kindle Unlimited, ma senza i Big Five, cioè i primi cinque grandi editori mondiali). Ora, dice Andrew Weinstein,uno dei dirigenti di Scribd, sono quasi la metà dei Big Five a offrire i loro libri in streaming.
Se questo è sicuramente un colpaccio per le due startup (Scribd contiene oltre 500.000 titoli e gli utenti sono in crescita del 30% ogni mese; Oyster addirittura  ha oltre un milione di libri a poco meno di 10 dollari mensili), un articolo su Wired giustamente si domanda quale sia il reale vantaggio per gli editori, visto che lo streaming è un modello di business che mette in discussione moltissimi gangli sensibili dell’industria editoriale, dalla distribuzione all’annullamento in pratica del prezzo unitario per ogni opera e, non ultima, la questione dei diritti d’autore. La conclusione è semplice: data. Dati sul comportamento dei lettori, sul loro modo di leggere, sui tempi di lettura. Dati aggregabili, scomponibili e sicuramente utilissimi per future campagne marketing più mirate. Sono poche le piattaforme che mettono a disposizione dati di questo tipo, e Scribd e Oyster sono tra questi pochi. Un’esca troppo golosa anche per i pesci grossi, a quanto pare.
(Se vuoi approfondire l’argomento, oltre all’articolo linkato puoi leggere anche questo: Publishers Know You Didn’t Finish “The Goldfinch” — Here’s What That Means For The Future Of Books.)
E in Italia? Siamo ancora tutti (o quasi) in attesa di Lea, la piattaforma di Laterza, annunciata dalla primavera 2014, ma che ancora non ha emesso il suo primo vagito nel web. In compenso l’editoria periodica si organizza e crea Edicola italiana, una piattaforma per comprare, leggere e abbonarsi a quotidiani e riviste su tablet, pc e smartphone. Esperimento senza dubbio da seguire, per quanto sostanzialmente il problema, per i giornali e le  riviste, non mi sembra tanto di formato, quanto di contenuti.

Librerie

open4Può sembrare un paradosso, ma in un periodo di crisi congiunturale e ancor di più editoriale e culturale, in Italia aprono nuove librerie. Sono però librerie differenti da quelle che eravamo abituati a frequentare e soprattutto stanno rendendo una regola quella che prima era un’eccezione: l’offrire, accanto ai libri, qualcosa da mangiare e da bere, organizzare eventi, incontri, dare a disposizione gli spazi a chi li richiede e, naturalmente, una wifi aperta a tutti per navigare con ogni tipo di device.
Concentro l’attenzione su due casi in due contesti molto diversi: una metropoli del nord, Milano, e un paesino del centro, Penne.
In un mio recente viaggio di lavoro a Milano ho potuto personalmente sperimentare la bontà dell’esperimento di Open, una libreria che non a caso ha un “sottotitolo”: More than books. Girando per Open ho respirato un’atmosfera molto differente e piacevole, non solo per l’indubbia originalità dell’arredo (nel sito potete voi stessi fare una visita virtuale della libreria), ma soprattutto per il open3fatto che vedere una libreria piena di persone che studiavano, navigavano in rete, prendevano un caffè sfogliando le novità editoriali dava l’impressione di un’alchimia molto ben riuscita in cui convergevano internet cafè, libreria, biblioteca, bar letterario. Per non parlare degli spazi dati a disposizione per meeting, gruppi di studio, progetti creativi e qualsiasi altra idea si possa avere e non si sa dove poterla realizzare.

Simile, per molti aspetti, è Tibo, la libreria nata da poco a Penne, piccolo paese in provincia di Pescara e fondata da due giovani librai che, tengono a dirlo, a Roma avevano un posto fisso nelle librerie Arion, ma hanno deciso di fare qualcosa per il loro territorio: ne è scaturito un progetto ancora in progress, ma che vede già incontri letterari, concerti, un bar che serve una birra artigianale (sempre per valorizzare le realtà del territorio) e wifi per tutti.

La questione è: si può intersecare il mondo di queste librerie con la nuova dimensione editoriale che sta prendendo piede, la lettura in streaming? Io penso di sì, nel senso che lo streaming può avere una duplice funzione di utilizzo, soprattutto da parte dei recidivi del cartaceo: da una parte ci si può leggere testi per una semplice consultazione, e per studio, o libri che non teniamo a possedere fisicamente; dall’altra può costituire un ambiente dove sfogliare e selezionare quei libri che invece vale veramente la pena avere nel nostro scaffale analogico. Il fatto di poter fare tutto ciò direttamente in libreria può soltanto rendere più fluido, agevole e immediato l’intero processo, senza considerare che nel web possiamo scoprire più facilmente altri titoli affini che ignoravamo e che nella libreria fisica non è facile scovare.
C’è solo da aspettare per verificare se questa è solo la visione di un blogger febbricitante qual ora io sono o invece un auspicio realistico.

La scuola e il digitale
Infine non si può non parlare di scuola, che sembra ormai essere stata immessa in un processo di digitalizzazione che, partendo dal registro, sicuramente arriverà anche alla didattica. In un interessante articolo sulle 9 tendenze da tenere sotto osservazione per la scuola del 2015, mi soffermerei soprattutto su due di esse: gli spazi di apprendimento e la digitalizzazione dei materiali: i primi dovranno necessariamente cambiare e modificarsi in funzione di un nuovo tipo di didattica, una didattica che, veicolata (anche) dal digitale, mette però sostanzialmente alla ribalta metodi di oltre un secolo fa, come quello Montessori e la pedagogia “sociale” di John Dewey: in ambedue i casi lo studente è in primo piano, protagonista e attivamente coinvolto nel processo di apprendimento, che avviene anche e soprattutto  attraverso l’interazione con i suoi par in un contesto di condivisione, creazione di nuovi contenuti, verifiche continue su quanto fatto in base all’esperienza concreta. Non per niente già ai tempi Dewey parlava di “scuole nuove”, che forse la rivoluzione digitale potrà favorire.

Dall’altra parte, proprio il digitale deve fare un passo determinante: nell’articolo sopra menzionato infatti si riprende la distinzione di Gardner tra digitazion digitalization: con la prima si converte un contenuto da cartaceo a digitale, con la seconda si intende la creazione di un ambiente di apprendimento, multicanale, con una community e una riorganizzazione dei ruoli e delle competenze.

E questo, a mio modesto parere, dovrebbe in fondo riguardare anche il giornalismo, non solo la scuola.

Come finisce il libro: 4 considerazioni

di Salvatore Nascarella (@nascpublish)

Ho letto tempo fa Come Finisce il libro. Contro la falsa democrazia dell’editoria digitale. Quelle che seguono sono alcune considerazioni nate dalla lettura.
Cominciamo col dire che a me i libri che pongono domande piacciono molto, perché preannunciano risposte. Il nostro 33_comefinisceillibroinizia proprio così. Ancor più importante, se parliamo di saggi, è che siano riportati dati e fonti in maniera precisa e facilmente riscontrabile. Infine, per cercare di descrivere quel che sta accadendo nel complesso mondo editoriale serve una buona capacità di sintesi e organizzazione del pensiero per tenere viva l’attenzione di un lettore. Bisogna dire che su questi fronti Gazoia ha colto nel segno.
Quella di Gazoia (su Twitter @Jumpinshark) è un’analisi dello stato delle cose che riguarda la galassia del libro, digitale e non: è un percorso attraverso i mutamenti che stanno condizionando e ristrutturando l’editoria, è un dialogo diretto con il lettore, senza manie di protagonismo, con l’obiettivo di condividere informazioni e far conoscere meglio il settore editoriale.
Ho ricavato dalla lettura del libro alcuni spunti di riflessione.

1. Siamo propensi ad accumulare e in qualche modo possedere contenuti. Lo facevamo con quelli “analogici” e replichiamo gli stessi comportamenti con il digitale. Spesso cerchiamo contenuti che siano, almeno per noi, sempre nuovi. Questo implica da una parte una certa bulimia che interessa chi scrive, chi legge, chi promuove o si deve promuovere e dall’altra un flusso costante di fenomeni letterari. Altro elemento che condiziona la propensione all’accumulo, maggiore per l’ebook rispetto al libro fisico, è legato all’intangibilità del contenuto: nel digitale la percezione di spazio occupato, di presenza “reale” dell’oggetto da leggere è assai ridotta. L’incorporeità fa perdere il controllo visivo che siamo abituati ad avere sul libro (sul comodino, sugli scaffali, ecc.). Inserito in un contenitore che ne maschera la fisicità, il contenuto si può sottrarre alla vista: questo aspetto è parte integrante della spinta all’acquisto e modifica in profondità il sistema editoriale e la sua economia.

2. Lo scopo dei grandi player (Amazon, Apple ecc.), così come degli editori e dei distributori editoriali “indipendenti”, è vendere, vendere, vendere. Per vendere di più si cerca di dare al lettore ciò che vuole e per raggiungere lo scopo serve fare volumi, in senso di quantità. Nulla di anormale. La filiera editoriale è fatta di aziende che lavorano per il profitto, pagando stipendi, professionalità, strutture ecc. Come giustamente fa notare Gazoia, c’è un “però”: l’esclusiva attenzione al prezzo più basso e le questioni connesse a quale compenso debba percepire un autore per il suo libro occultano un nodo centrale e una difficoltà reale dell’editoria, ossia la promozione della lettura e del libro. Niente più prestito all’amico, niente (per ora) copie di seconda mano: sì, è vero, le biblioteche possono prestare ebook, così come diverse piattaforme di distribuzione digitale, ma il rientro nel mercato di un ebook già acquistato o più semplicemente il passaggio di un libro di mano in mano tra amici, tra lettori, subisce un brusco stop. Esistono alternative, usate soprattutto nell’editoria professionale e universitaria (Open Access, Creative Commons, Copyleft), che permettono a un contenuto di essere diffuso e condiviso con diverse articolazioni dei diritti d’autore: non è detto che questi modelli non possano trovare spazio e imporsi anche in altri campi della pubblicazione digitale. Il tempo ci saprà dire.

3. L’ammiccamento è la strategia adottata per conquistare il lettore. Ci provano i grandi player, i distributori, gli editori, gli autori (anche quelli del selfpublishing). D’altra parte gli strumenti per darsi da fare ci sono: le classiche recensioni, gli eventi, i blog e i social network. E ovviamente c’è il marketing. Un ammiccamento simile abbraccia anche i potenziali scrittori che sono invitati a far da sé, con i pro e i contro del caso. Fa parte della “cultura partecipativa” cui la rete in qualche modo ci sta abituando e che apre le porte a chiunque sia alla ricerca del quarto d’ora di celebrità, giocando con la diffusione virale e – perché no – fidelizzata delle storie. Il risultato può non rispondere alle aspettative degli autori e dei lettori, ma in ogni caso risponderà alle logiche di vendita. A dirla tutta, l’autopubblicazione digitale non è nata con gli ebook: i blog sono i padri dell’autopubblicazione. Avete presente quei diari o le raccolte di poesie e microstorie su web che tanto andavano di moda anni fa? Ecco, quella era una forma selfpublishing, libera, accessibile e gratuita. Ma quindi cosa sta cambiando? Ovviamente i blog continuano a esistere e, anzi, la tendenza è personalizzare sempre più la propria presenza in rete. La differenza maggiore è che esiste un modello di business legato ai contenuti: quelle raccolte di poesie e le microstorie digitali si possono vendere. A mio parere, la differenza maggiore sta però nel tentativo di far percepire come personale e intima la relazione lettore-venditore-autore. Per intenderci, si sposa bene con gli slogan “solo per te” e “anche tu puoi”. Qui sta appunto l’ammiccamento conquistatore.

4. Dobbiamo considerare un fattore di prospettiva dell’autopubblicazione: anche i contenuti digitali autopubblicati sono e saranno specchio del nostro tempo. Poco importa esprimere oggi un giudizio positivo o negativo sulla questione, perché di fatto anche il selfpublishing sarà un elemento attraverso cui i posteri potranno leggere e interpretare la nostra società, esattamente come noi facciamo con la lettura degli autori del passato. Ciò varrà sia per gli autori “nobili” sia per quelli non filtrati dagli editori, al di là del prezzo di copertina di un ebook o un libro, al di là del supporto elettronico su cui leggeremo. E non è che ciò sia meglio o peggio: semplicemente è. Siamo dentro questo tempo, immersi in questa trasformazione, e ci è difficile, se non impossibile, produrre un giudizio oggettivo. Possiamo solo analizzare quanto sta avvenendo per azzardarci a scegliere con maggiore consapevolezza.

Se l’intenzione del testo era rendere più consapevoli i lettori (e gli scrittori) di quanto avviene nella filiera editoriale alla luce dei cambiamenti che stanno caratterizzando il settore, il lodevole obiettivo è stato raggiunto.
Forse, ma dico forse, per chi lavora nell’industria del libro i contenuti saranno in buona parte già assai noti. Ciò non toglie che faccia bene alla sistema culturale e politico – in senso lato – del nostro Paese far conoscere al più vasto pubblico possibile quel che accade “dietro” un libro, digitale o meno, e più in generale in quale contesto si stia muovendo la realtà editoriale.
Ad ogni modo, possiamo stare tranquilli: la morte del libro non è ancora giunta e penso che tardi ad arrivare.

le librerie del futuro e i lettori del passato

Il post che avrei dovuto scrivere doveva trattare alcuni temi di cui si parla in questo periodo: dell’interessante dibattito sui Big Data e del peso che possono (e potranno sempre di più) avere non solo e non tanto sulle politiche editoriali, quanto anche sull’esperienza di acquisto e di lettura e sulla scrittura stessa da parte dell’autore; l’ultimo intervento sull’argomento (con i link degli articoli precedenti) è quello di Gino Roncaglia su Pagina99 e vi consiglio di leggerlo, così come anche gli altri.

Il post che avrei voluto scrivere doveva anche menzionare Medium e i tanti che ne stanno parlando (bene), tra cui la bravissima Letizia Sechi (sempre su Pagina99). Cos’è Medium? Un editore, a quanto sostiene il suo fondatore Evan Williams, perché alla fonte c’è (anche) una selezione degli autori e la collaborazione con editor professionisti; ma anche una piattaforma, perché è aperta a tutti, collaborativa e che fa tesoro dell’esperienza ormai ultradecennale del blogging e la declina in modo nuovo e molto dinamico. Una rivista, perfino, quando invia la sua newsletter e propone una nuova maniera di offrire contenuti di qualità. Saremmo quindi in quel delicato discrimine tra contenuti strutturati e granularità, tra profondità e superficialità: tematiche già affrontate in un dialogo a più voci nato nel web e raccolto da Ledizioni in un ebook in cui mi pregio di aver dato il mio piccolissimo contributo.

Foyles

l’interno della libreria Foyles.

Il post che avrei dovuto scrivere, insomma, era diverso da quello che invece state leggendo. Perché? Perché proprio oggi mi sono imbattuto in un articolo sul Sole 24 Ore intitolato I librai che puntano al futuro a firma di Stefano Salis e mi sono sentito un appestato. Non solo un appestato, ma quasi un criminale, comunque un apostata, uno di quelli che contribuisce alla rovina della lettura e alla morte delle librerie. Quelle librerie in cui però amo ancora passare il tempo libero (sempre pochissimo), ma alle quali evidentemente a mia insaputa (come molte cose che accadono in Italia) sto dando esiziali colpi ad ogni lettura che faccio sul mio Kindle.

Eppure io e Salis abbiamo molte cose in comune: l’amore per la lettura, prima di tutto, e la passione per le librerie; del resto non posso che gioire alla notizia riportata nel suo articolo dell’inaugurazione della nuova sede di Foyles a Londra. Molto di più di una libreria, a quanto pare: 3500 mq disposti su cinque piani, più di 200.000 titoli a disposizione, caffè, auditorium, salette conferenze, eventi e addirittura l’organizzazione di viaggi letterari. Dulcis in fundo, un’app a disposizione di chi vuole trovare subito il libro che desidera, senza chiedere al commesso o perlustrare i cinque piani.
Tutto molto bello e sono d’accordissimo con Salis quando parla della nuova Foyles come esempio di quello che potrebbe (o dovrebbe) essere la libreria del futuro: servizi, eventi, luogo di incontro e di aggregazione di persone, idee, emozioni. Tutto sacrosanto, se non fosse per il fatto che sin dall’inizio Salis non fa niente per nascondere la sua ostilità (se non proprio disprezzo) nei confronti dei lettori (ma siamo degni di essere ancora chiamati così?) di ebook, perché solo il “libro (di carta) resta un baluardo di civiltà, di libero pensiero e, non ultimo, di design” e la libreria (fisica, specifica di nuovo fra parentesi) “il luogo nel quale l’incontro tra autori, editori, librai e lettori non è solamente reale (vivaddio), ma è proficuo”.
Il resto del veleno, come Marziale, lo riserva per la coda del suo scritto: “in fila, ho guardato bene, persone che leggessero ebook non ce n’erano.” Meno male, dico io, altrimenti chissà cosa gli avrebbe fatto, a questi infedeli, non pecore smarrite ma proprio caproni, che ignorano un “qualcosa che va ben oltre il nudo testo scritto di un’opera, e questa cosa i lettori di libri l’hanno sempre saputa”.

Io, sinceramente, articoli così non li capisco. Non dopo ormai 4 anni di lettura digitale (e parlo solo dell’Italia) e molti, molti di più di social network e di blog, di siti sul web dedicati alla lettura e ai libri, dopo anni di Anobii, di Goodreads, di eventi seguiti e commentati su twitter, in cui io stesso ho potuto esserci in qualche modo proprio grazie a twitter, dopo tutti i libri che ho letto grazie a suggerimenti, consigli, commenti o discussioni su qualche social o sui cosiddetti blog letterari.

Non capisco, almeno da parte di persone intelligenti, colte, ragionevoli, l’ottusa contrapposizione reale vs. digitale, questa guerra di retroguardia, questo sentirsi superiori in base ai discorsi della nonna che i rapporti umani sono i migliori, che vuoi mettere il commesso invece che l’algoritmo, tutte cose anche giuste, da un certo punto di vista, ma non è il punto di vista giusto.
Eppure non mi sembra una cosa così difficile da comprendere: il digitale è un’integrazione del reale, non un suo antagonista; tra loro c’è un rapporto di espansione e non di contrapposizione. Sotto questo punto di vista, il rifiuto del digitale appare non come difesa del reale, ma come un voler porre un limite al reale stesso. Si continua a pensare al “libro (di carta)” come un totem di civiltà e di cultura e si ignora – volutamente, a questo punto – che ormai le informazioni e i contenuti circolano in molte forme diverse, granulari, reticolari, ma non per questo meno importanti; si ignora che il rapporto tra editori, lettori e autori si è fatto più stretto e interconnesso proprio grazie al digitale e non suo malgrado.
Soprattutto, si continua una speciosa, inutile, anche un po’ puerile contrapposizione tra lettura digitale e cartacea, senza minimamente porsi il dubbio che possa sussistere un lettore ibrido, che sceglie l’uno e l’altro supporto a seconda delle circostanze e delle esigenze; che legge contenuti granulari nel tablet con la stessa utilità con cui sfoglia un saggio di due chili a casa.
Il dubbio, in definitiva, che la lettura, la scrittura, l’editoria, siano ormai una cosa ibrida, e non più monolitica.

L’unico consiglio che posso dare a Salis e a quelli come lui è leggere attentamente i link che ho indicato nel post che avrei voluto scrivere, ma non ho fatto.

P.S.: è quantomeno una coincidenza singolare che l’articolo su Foyles esca nello stesso giorno in cui negli USA annunciano che le vendite di ebook hanno superato quelle dei libri cartacei. Fatto che giustifica ancor di più la necessità di una vocazione poliedrica delle librerie del futuro, come auspica lo stesso Salis.

(l’immagine è tratta da qui)

l’Italia dei libri, ma non dei lettori: alcune considerazioni sui dati Nielsen

ImmagineAlcune rapide considerazioni sul tema del momento, i dati del rapporto sull’acquisto e la lettura di libri in Italia nel triennio 2011-2013, commissionato dal Centro per il Libro e la Lettura all’agenzia Nielsen.

Il primo dato è il calo medio sia nella percentuale dei lettori (dal 49% al 43%) che degli acquirenti (dal 44% al 37%). E si parla sempre di “chi ha acquistato/letto almeno un libro in un anno”. Uno. In un anno.

Dal momento che il triennio preso in considerazione corrisponde anche a quello in cui la lettura digitale ha iniziato la sua espansione, qualcuno si è legittimamente chiesto se gli ebook abbiano in qualche modo compensato l’emorragia del cartaceo. Se ci si basa sui dati, questi dicono che a fronte di un calo del 9% di acquirenti e di lettori su carta è corrisposto un incremento rispettivamente del 14 e del 17% su cartaceo. Sembrano cifre confortanti, ma lo sono un po’ meno seImmagine Immagineanalizziamo il parallelismo carta e diigitale: qui infatti vediamo che al calo menzionato in precedenza di 7 punti percentuali tra gli acquisti di libri dal 2011 al 2013, per gli ebook l’incremento registra solo un punto, dall’1 al 2%. Lievemente maggiore, comunque in crescita, la relazione tra lettori di ebook nel triennio, in cui si registrava un 2% di lettori digitali nel 2011, mentre nel 2013 erano il doppio. Quelli cartacei nel frattempo sono scesi dal 48 al 42%. Anche in questo caso, mi sembra in ogni modo che il consuntivo sia in perdita, ma forse sono io che vedo il bicchiere mezzo vuoto.

Certo il numero di ebook acquistati nel triennio ha registrato un aumento molto consistente, passando da 1 a 4 milioni (+291%); se poi si parla di ebook letti si arriva anche a 7,4 milioni (dai 3,4 del 2011).

Appare quindi chiaro che l’ebook è in continua crescita, seppure forse meno dirompente di quanto non supponessero gli entusiasti del digitale, soprattutto prendendo come parametro la crescita quasi esponenziale negli USA. Ma  né gli editori italiani né le abitudini dei lettori non sono come quelle statunitensi e c’era da prevedere che la prudenza editoriale nei confronti dell’ebook si riflettesse sui dati di acquisto e lettura, come infatti è  successo. Inoltre, mi sembra indubbio il fatto che chi ha speso per un ereader è soprattutto un lettore forte, quindi si tratta sempre di un rafforzare bastioni che erano già ben presidiati. Insomma, non si parla di un recupero di lettori, a mio modo di vedere, ma di un rafforzamento o di nuove abitudini di lettura da parte di lettori già attrezzati.

Un dato che invece mi sta a cuore rilevare è il seguente: quasi il 60% delle copie acquistate sono nella fascia di prezzo sotto i 10 euro: 23% tra gli 11 e i 15 euro, il restante oltre questo prezzo. Inoltre, la fascia di prezzo inferiore ha guadagnato il 5% di acquirenti, tanti quanti ne hanno persi le fasce superiori.

Tutto questo fa inevitabilmente sorgere la domanda se magari non sarebbe ora che gli editori iniziassero a fare maggiore attenzione alle politiche di prezzo da una parte, ma anche a quelle editoriali dall’altra. In pratica, almeno tre o quattro punti credo sia d’obbligo accennarli:

prezzo inferiore per le prime edizioni (non è accettabile che una brossura anche poco elegante di un libro di 106 pagine di testo a corpo non piccolo sia venduta al prezzo di 15 euro – non voglio fare nomi, ma è un caso vero e recente);Immagine

– una minore bulimia produttiva, che porta nelle librerie un numero irragionevole di titoli spesso non all’altezza del nome dell’editore e/o della collana in cui sono inseriti;

– maggiore cura nell’editing e attenzione nei confronti dell’oggetto libro;

– riconsiderare la politica degli anticipi agli autori considerati forti e che magari poi tanto forti non sono, o comunque non da giustifcare le cifre pattuite. Magari i soldi risparmiati potrebbero essere investiti in politiche per la promozione della lettura, mirando soprattutto alle biblioteche e alle scuole.

Che poi alla base di tutto ci sia anche una forte esigenza di ritessere da zero una cultura della lettura, un’educazione civica che veda nel libro uno strumento necessario e non accessorio per la vita, questo è quasi scontato. Ma ognuno deve fare la sua parte. E quella degli editori non mi sembra affatto secondaria.

Per chi è interessato a un punto di vista sicuramente più autorevole del mio,  può leggere l’intervento di Loredana Lipperini intitolato “Perché il rapporto Nielsen sulla lettura deve farci paura“.

Segnalo infine l’interessante discussione nata da un intelligente post (e non poteva essere altrimenti) di Gino Roncaglia sulla sua pagina facebook: Pubblicazione di Gino Roncaglia.

libro cartaceo + ebook? Si può, e si chiama bundling

Qualche giorno fa è comparso su Publishing Perspective un interessante articolo sul bundling, cioè la vendita parallela di uno stesso titolo in cartaceo e digitale, dove l’acquisto di una copia in libreria consente anche di scaricare quella digitale.

Una strategia di business molto interessante, tanto che l’amico ed esperto del settore (nonché “collega” blogger) Gabriele Alese ha pensato di parlarne in ben due articoli (uno in luglio e uno pochi giorni fa): nel primo analizzava il modo in cui due editori italiani (finora gli unici: E/O e Utet, del quale parla anche Finzioni qui) hanno applicato questo modello, nel secondo si sofferma su due fattori molto importanti della questione: la percezione del valore della copia cartacea e la migliore modalità (cioè la più semplice ed efficace) per permettere all’utente di andarsi a scaricare la copia dell’ebook dopo aver acquistato il titolo in cartaceo.

Visto che Gabriele è come sempre molto preciso, competente ed esaustivo, in questo mio breve post vorrei soffermarmi su due altri aspetti di una pratica che trovo anch’io particolarmente interessante e meritevole di attenzione.

Il succitato articolo di Publishing Perspectives individua alcuni elementi rilevanti della questione, che sintetizzo schematicamente (rimandando ovviamente alla lettura integrale dell’articolo):

– il bundling permette all’editore di scoprire chi legge i suoi libri attraverso i dati provenienti dal download ed è un ottimo modo per costruire una relazione con il lettore e fidelizzarlo.

– I librai finora coinvolti nell’operazione si sono dimostrati molto favorevoli, perché possono vendere ebook senza forzare i lettori a una scelta tra digitale e cartaceo.

A quanto pare, si tratterebbe di un qualcosa capace di coniugare gli interessi di tutti gli elementi della filiera, non ultimi i lettori stessi, cosa già di per sé notevole. Ma gli esempi concreti menzionati nell’articolo costituiscono materiale da analizzare per cercare nuove linee di sviluppo e perfezionamento di una pratica che può rivelarsi molto utile sia dal punto di vista del marketing editoriale, sia da quello, ancora più importante, della promozione della lettura: come per esempio dare al lettore l’opportunità di scegliere una collezione di ebook di uno stesso autore, o di titoli simili proposti dalla backlist, facendogli quindi scoprire libri che altrimenti non avrebbe nemmeno mai trovato.

“Per ora  – conclude l’articolo – il bundling cartaceo + digitale contiene in sé la potenzialità di offrire un valore aggiunto. Questo perché la lettura è diventata un’esperienza ibrida.(…) Quanto più il campo del design dell’ebook continuerà a svilupparsi, tanto più possiamo sperare di vedere comparire nel mercato app e ebook più belli, intuitivi, e user friendly,”

Siamo infatti, è bene ricordarlo, ancora in una fase 1.0 (rispetto alle sue reali potenzialità) della lettura digitale, ancora l’ebook è molto vincolato al design e alla struttura del suo omologo cartaceo; gli editori si muovono per tentativi, a volte riusciti altre meno. Questa del bundling mi sembra un approccio molto intrigante, da seguire con attenzione e su cui gli editori (e i loro uffici marketing) dovrebbero riflettere bene.

Per quanto mi riguarda, il “doppio passo” del libro cartaceo e digitale, la valorizzazione della backlist e l’esperienza di lettura “ibrida” (che io a Librinnovando 2011 avevo definito “meticciato“) sono tutti temi che mi stanno a cuore non da oggi e in cuor mio ero sicuro avrebbero condotto a nuove strade e nuove pratiche dove in primo piano ci fossero anche la lettura e i lettori. Forse ci stiamo muovendo (anche) verso questa direzione.

P.S. Aggiornamento dell’ultima ora: anche Amazon da ottobre prossimo si dà al bundling, sotto il nome (efficace) di Matchbook, ovviamente riservato ai possessori di Kindle (o delle sue app).