gallizio editore: la lettura e la controrivoluzione delle scritture

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Qualche mese fa, nel post “leggere (e scrivere) tra le nuvole: perderemo davvero la letteratura?”  prendevo spunto da alcuni articoli che trattavano del ruolo della scrittura nell’era digitale.
Ormai si parla piuttosto di “scritture” e di un supporto che non esiste più o meglio è dilatato e diafano, di una scrittura ubiqua e non più lineare.
Per interpretare questo nuovo contesto ho interpellato Filippo Pretolani aka gallizio* (@gallizio), in quanto lo ritengo il miglior interlocutore sull’argomento. Ne è nata, più che un’intervista, un botta e risposta a colpi di mail, una chiacchierata su quello che potranno diventare le scritture nell’era digitale.

Iniziamo proprio da te e dal progetto Pleens: di che cosa si tratta? E soprattutto da cosa nasce, da quali esigenze o da quale punto di vista?

Nasce da un’idea antica come la letteratura: quella di associare ai luoghi il nostro vissuto, le emozioni, le storie. Lasciare un segno di noi. Ma dove? Lavorando sui social media io e mafe de baggis ci siamo resi conto di quanto le persone scrivano, che sia un sms o un lungo post su un blog, fino al lifestream quasi inconsapevole su twitter e facebook, che loro malgrado sono diventati i più grandi editori contemporanei. Pleens nasce dall’esigenza di provare a produrre consapevolmente queste scritture su una piattaforma creata per pubblicare scritture talmente dilaganti da non poter essere ospitate da un catalogo meno che sconfinato. Qui tornano i confini, il limite, le geografie: il mondo, un mappamondo iperconnesso, ci è sembrato l’unico spazio di pubblicazione possibile.

Una pubblicazione a costo zero…

Qui viene il punto: la vera novità, la discontinuità delle scritture native digitali non sta tanto (o non è solamente) nel fatto di essere duplicabili e distribuibili senza costi. No: è il fatto di essere connesse: il tempo di latenza tra scrittura e lettura tende ad accorciarsi fino a coincidere: il lifestream è live. È questo che ha cambiato l’efficacia della trasmissione della conoscenza chiusa a mezzo stampa. Il valore aggiunto della conoscenza è ora nell’interazione: scritture che generano altre scritture. Un grande software collettivo che scrive e riscrive il senso del mondo. Incessantemente, nel continuum delle scritture connesse.

Si riconfigura tutto un nuovo modo di intendere la scrittura, così come la lettura. In tutto questo la figura dell’autore come dovrebbe evolvere? (ma avrà ancora senso parlare di autore)?

L’autore entra in un’accelerazione fortissima della scrittura che fa quasi vacillare la sua identità. O se preferisci la rimette in gioco: che cos’è un autore al tempo delle scritture connesse? Certo: chi scrive romanzi continuerà a farlo e li offrirà al proprio pubblico. Ma il canone dell’autorialità si allarga. Siamo in una fase di forte sperimentazione: se i punti di riferimento consueti vengono meno, allo stesso tempo tutto converge verso nuovi linguaggi, nuovi format. Lo sai cosa manca? un nuovo genere letterario. Ma arriverà, come sono arrivati il cinema (dopo l’opera), il romanzo (dopo la rappresentazione teatrale), il fumetto (dopo la pittura figurativa).

O forse lo stesso concetto di “genere letterario” è uno dei punti di riferimento consueti che verranno meno?
Considerazioni personali a parte, a proposito di romanzi, viene da chiedersi che ne sarà del libro lineare e, soprattutto, conchiuso in sé; pensi che si parlerà sempre di più di social writing, oltre che di social reading? Mi riferisco per esempio a progetti come 20lin.es e simili.

Il libro, così come siamo abituati a conoscerlo, il buon caro vecchio libro, fatto di atomi e odore della carta, continuerà serenamente la propria vita. Sono gli editori che campano alle sue spalle a fare sempre più fatica. E i librai. Tutta la catena del valore legata alla distribuzione cartacea non è più redditizia. Si cercano nuovi modelli di business. Social reading e social writing sono un pezzo di questa sperimentazione. Ma la vera partita credo si giocherà sul self-publishing.

[sul genere letterario: non a caso l’ho accostato a nuovi linguaggi e nuovi format. Non sarà in continuità col romanzo, per intenderci. Il salto sarà paragonabile a quello che porta dal romanzo al cinema]

Ecco, il self-publishing: in uno scenario come quello da prefigurato non si autoafferma quasi come naturale conseguenza del contesto in cui siamo?

Si autoafferma come concetto e come prassi, ma per diventare letteratura deve trovare un format, un genere letterario, un linguaggio (lato autori) e un modello di business (lato producer/editori)

Quello che intendo dire – e dimmi se ho capito male – è: se parliamo di “un grande software collettivo che scrive e riscrive il senso del mondo”, forse l’autopubblicazione è già quella che si ha ora, un continuum di scritti distribuiti in diversi ambienti e con diverse finalità ma tutti già in un certo senso pubblicati perché pubblici.

In un certo senso sì. Io la considero la più grande operazione di scrittura dell’occidente: mai come adesso tante persone scrivono e img22rendono pubbliche le proprie scritture. Ma gli “editori” di questa operazione (le piattaforme, i producer) sono editori per caso: gli operatori telefonici, google, twitter, Facebook, YouTube, Pinterest etc. Però rendere pubblica la propria scrittura è diverso dall’autopubblicarsi. C’è la stessa differenza che c’è tra scrivere in pubblico e scrivere a un pubblico: un conto è scrivere ti amo su un muro, un altro è scriverlo in modo che qualcuno ti riconosca dignità di autore e sia disposto potenzialmente a pagare per la tua scrittura. Ma non è finita qui: la cosa si complica ulteriormente perché tutti questi elementi sono dinamici: la definizione di autore sta cambiando, così come quella di pubblico e di scrittura stessa. E anche gli equilibri e gli scambi, i flussi che li collegano. Bello no?

Se la forma libro (intesa come narrazione lineare) si sfalderà, sarà possibile in qualche modo ricomporre i frammenti del testo esteso e connesso? O forse non avrà nemmeno senso?

Non credo abbia senso deciderlo in astratto. Un giorno qualcuno ha composto il primo sonetto, qualcun altro ne ha tratto piacere e piano piano ne è scaturito un mondo. La forma libro lineare non si sfalderà: è solo un caso particolare della grande famiglia delle narrazioni non lineari. Che per la prima volta hanno la possibilità di esprimersi compiutamente!

Quasi un anno fa esponevi le tue 99 idee per l’editoria: nel frattempo è cambiato qualcosa? Ne aggiungeresti o ne toglieresti qualcuna?

Se non fosse cambiato qualcosa mi dovrei seriamente preoccupare! Se non altro del mio equilibrio mentale. Nell’ultimo anno ho lavorato soprattutto sugli spazi di pubblicazione e in particolare sul modo in cui lasciamo segni attraversando i luoghi.

[L’esperienza più forte in questo senso è stata senza dubbio la scoperta dell’arte di Tomàs Saraceno, in particolare di On Space Time Foam all’Hangar Bicocca. Una scoperta traumatica che ha innescato enormi ampliamenti di prospettiva.]

Pleens naturalmente è un primo passo in questa direzione, ma stiamo cercando di declinare le idee guida che lo ispirano su almeno due contesti concreti: la corsa e il cibo. Penso che siano due forme dell’abitare umano particolarmente significative dello spirito del nostro tempo e che tuttavia siano in fase di ridefinizione. Quando va riplasmandosi la cosa, va riplasmandosi inscindibilmente anche la parola: il modo in cui vengono descritte e raccontate ora queste esperienze culturali (il cibo col food blogging e la corsa con le applicazioni biometriche che tracciano le performance) sono datate e non possono bastare per veicolarne il senso: per questo motivo stiamo cercando nuovi linguaggi descrittivi e nuove modalità narrative. Anche qui l’idea è di sperimentare dei format per tentare di inventare un genere letterario. Speriamo bene…

*Chi è Filippo Pretolani (dal suo profilo Linkedin):

La complessa relazione tra economia, cultura e comunicazione è sempre stata al centro della mia esperienza professionale. Dopo dieci anni di corporate communication ho deciso di cambiare rotta per concentrarmi sulla disintermediazione e sul passaggio al digitale.

Come consulente e freelance, lavoro coi miei clienti su temi di Change Management, Social Media Strategies, approcci di second screen, gestione della presenza online per aziende grandi e medio-grandi.
Negli ultimi due anni sto lanciando due progetti editoriali specifici:

– gallizio editore, un open lab sulle scritture e sulla narrativa digitale
– Pleens, una startup che consiste in una piattaforma mobile che serve a connettere tra loro luoghi, emozioni ed esperienze.

i nuovi modelli di apprendimento vs. il vecchio modello editoriale

Si continua a parlare e scrivere di didattica 2.0, libri di testo digitali o meno, e per quanto mi riguarda vorrei integrare e completare il mio post precedente sull’argomento, soprattutto cogliendo gli spunti offerti dai commenti molto arguti e pertinenti, dove si parla di uso delle tecnologie già in atto da parte di non pochi docenti virtuosi, che fanno uso di Moodle o delle risorse in cloud più a portata di mano, ma anche ricche di notevoli potenzialità, come per esempio Google Drive. A questo proposito si cita questa esperienza riportata dalla bravissima professoressa Vaglio (alias Galatea), cosa che mi ha fatto ricordare per analogia l’ebook da poco uscito Testi scolastici 2.0 di Emanuela Zibordi* (la quale, bontà sua, ha voluto che scrivessi la prefazione),  in cui spiega ai docenti come lavorare insieme agli studenti e creare con loro dei percorsi di apprendimento autoprodotti e trasformarli poi in un ebook.

Proprio oggi poi compare questo bel post in cui non solo si parla del buon uso dell’iPad in classe, ma dove soprattutto viene esplicato il concetto molto interessante di didattica multicanale integrata. Non più e non tanto di didattica multimediale o di libri di testo digitali, quanto proprio della creazione di un ambiente di apprendimento in cui si fa uso di tutti i canali oggigiorno a disposizione e di tutti i tool, gli strumenti che la tecnologia ci offre per perfezionare ciò che si fa – o almeno si può fare – anche in maniera analogica, ma  che sicuramente riesce meglio con l’aiuto dei bit.

Vale anche la pena scorrere queste slide in cui si fa riferimento all’uso nella didattica di strumenti come Google Drive e simili, precisando (o auspicando) che una simile strategia di apprendimento (nonché di insegnamento) sia parte di una complessiva strategia della stessa scuola e non un caso isolato, come ancora purtroppo sembra accadere qui in Italia.

In tutto questo, qual è il ruolo dell’editore di scolastica? Rimanere a guardare la sua disfatta e contemplare languidamente la propria liquefazione, non solo di contenuti, ma anche di essenza? A quanto pare no, se è vero anche solo in parte quanto si dice in questo articolo intitolato significativamente “For many students, print is still king”. in cui però non si esclude che, accanto al libro di testo, non si possa via via edificare una comunità di apprendimento nell’ambiente digitale, offrendo materiali di approfondimento a disposizione da consultare, usare, manipolare e riproporre in maniera personalizzata e arricchita.
Penso che sia questione di coniugare contenuti (su cui ancora l’editore ha un indiscusso vantaggio) e servizi, creando veramente nuove formule per questa didattica multicanale integrata reinventando il modo di erogare il materiale in suo possesso, sviluppando nuovi canali, mettendosi al servizio di quanto vorranno e sapranno fare i docenti e i loro studenti, impostando quindi una nuova, inedita – ma determinante per la sua sopravvivenza – relazione con chi prima d’ora i contenuti li ha solo assimilati senza poter intervenire, ma ora con la Rete si trova in una situazione più paritaria, sicuramente meno passiva.
Si tratta di uno switch di notevole entità, ma capace di rimodellare non solo il sistema editoriale del settore, ma l’intero sistema educativo.

*Se volete approfondire, qui una recente sua intervista sull’argomento e qui il suo blog, da seguire con attenzione.