morto google reader, se ne fa un altro (?)

La notizia di cui si parla in questi giorni è che da luglio Google Reader cesserà di esistere, presumibilmente perché a Mountain View vogliono concentrarsi di più su Google + (almeno a quanto si dice).
Due le considerazioni che leggo in giro: una suona come “ben ci sta così impariamo ad affidarci a un solo soggetto per ogni tipo di servizio”; l’altra è la ricerca di una possibile alternativa (tra tutte: Feedly, sebbene poi sia lecito anche domandarsi: fino a quando?).
Qualcuno dice anche che Google sta facendo un grosso errore, e io aggiungerei che non sarebbe certo la prima volta.

Ma la domanda cruciale che giustamente molti pongono è: che fine faranno gli RSS?

Twitter: il miglior posto per parlare di libri (?)

Chi bazzica Twitter sa che non è facilissimo creare quello che si chiama un trend topic, cioè un argomento di discussione (contrassegnato dall’hashtag #) ad alta frequenza. Soprattutto se questo argomento sono i libri e l’editoria in generale.
Invece alcuni pazzi ci sono riusciti addiritura più di una volta: la prima è stato per merito delle ragazze di librisulibri, che hanno lanciato l’hashtag #caroeditore, una serie di mini-messaggi (twitter permette solo 140 caratteri, hashtag compreso) agli editori da parte di lettori, digitali o meno, che esprimevano i loro dubbi, le loro domande o le loro proposte (se vi interessa, l’ineffabile Mafe de Baggis ha raccolto tutti i tweet in un PDF qui).

La seconda volta è avvenuta oggi stesso, in occasione dell’incontro presso la Biblioteca Comunale di Empoli battezzato – a mio modesto parere poco felicemente – Byebyebook?, titolo che ha dato anche il nome all’hashtag (ma senza punto interrogativo, ulteriore errore).
Non sono stato l’unico ad aver espresso perplessità per questo nome, e l’ho fatto sostanzialmente per due ragioni: il primo è che le parole sono importanti, e se chiami così un evento significa che vuoi comunicare quel determinato messaggio. Se non è vero (come non lo era) allora hai sbagliato titolo. Nel mondo degli atomi rischi così di attirare meno gente di quanta forse ne sarebbe venuta con un titolo meno fuorviante, nel mondo dei bit e nella fattispecie su twitter (dato che era un incontro nato per essere diffuso e discusso su twitter) ti attiri gli strali di tutti i fondamentalisti cartacei e gli annusatori di colla e inchiostro, appiattendo così la discussione sulla trita, triste, tremenda e trollesca dicotomia libro cartaceo vs ebook, che è quanto di più miope e manicheo si possa pensare quando si parla di lettura digitale.

Chi è interessato a (ri)percorrere gli interventi della giornata, li può trovare su Storify, dove li ha raccolti la bravissima Marta Traverso (qui le sue prime impressioni dell’evento), la quale, insieme a Silvia Surano ha gestito l’evento su twitter, mentre una selezione di alcuni tweet lo si trova qui.

Da parte mia, tengo a dire solo una cosa: mi ha fatto un po’ tristezza il fatto che, mentre relatori interessanti esprimevano le loro altrettanto interessanti tesi a Empoli, su twitter è stata praticamente quasi solo una mera contrapposazione tra “cartacei” e “digitali” (e molto, lo ripeto, a causa di quel nome assai fuorviante), mentre si sono un po’ persi i veri gangli dell’argomento, tra cui la questione dei diritti d’autore (e tale riguardo rimando all’esperto Marco Giacomello, che ne ha appunto parlato), quella del self publishing che da molti sembra essere visto una delle escrescenze maligne del digitale; o quella del come ripensare alcuni ruoli della filiera, da quello dell’editore a quello delle biblioteche, senza dimenticare naturalmente la scrittura e l’autore stesso, posti di fronte ad una nuova sfida.

Altro dire non vo’, se non ribadire quanto già scritto nel mio contributo all’interno del libro (da leggere tutto, dalla prima all’ultima pagina) La lettura digitale e il web – ecumenicamente publicato in cartaceo e in digitale – e in alcuni miei recenti post su argomenti come il meticciato editoriale (di cui ho parlato anche a Librinnovando 2011), l’inutile contrapposizione carta-digitale e la necessità di ragionare secondo schemi nuovi e affrontare le nuove modalità che ci offre l’ebook; infine, su self publishing e ruolo dell’autore, ho parlato tempo fa con lo stesso Luca Lorenzetti, uno dei relatori di Empoli, mio personale amico e gran conoscitore del mondo della scrittura 2.0 (a proposito, avete letto il suo libro,vero?).

Insomma, gli argomenti non cambiano, ma per fortuna si rinnovano gli interlocutori; la mia speranza è che, pur se ancorati pervicacemente al mondo cartaceo, possano almeno avere la curiosità di conoscere un po’ più da vicino questo terribile strumento del demonio chiamato ebook (e ereader) senza il timore che uccida e faccia sparire l’amato oggetto di carta che tutti amiamo.
Del resto, chi legge dovrebbe avere una mente aperta e flessibile, lontana da integralismi e fanatismi che ne sono l’esatto opposto.
O no?

la pirateria è un ingranaggio scomodo ma inevitabile

Un paio d’anni fa avevo letto su Futurebook un simpatico e intelligente articolo intitolato Is all piracy bad piracy? che ripercorreva brevemente la storia della cosiddetta pirateria, dimostrando che le sue origini sono le stesse della stampa gutenberghiana. Da John Milton a Benjamin Franklin fino al contemporaneo Paolo Coelho (per non parlare di Colin Doctorow), l’articolo riportava i casi più eclatanti in cui l’autore stesso è “pirata” ma non per questo danneggia la letteratura o il sistema editoriale, al contrario.

Se ne è parlato anche a IFBOOKTHEN 2012 e a mio parere uno degli interventi più interessanti (se non il più interessante) è stato quello di Timo Boezeman (editore olandese e demiurgo proprio del sito Futurebook di cui sopra) sulla pirateria: “Inside Piracy: what we can learn from pirates“. Potete vederne le slides qui, mentre qualcosa di più lo trovate sullo Storify dell’intero evento milanese. Boezeman ha esordito con la frase “La pirateria non è rubare. Se lo vedete come tale avete un problema”, catturando subito l’attenzione dei presenti.  Ha continuato poi invitando gli editori a non combattere la pirateria ma piuttosto a investire per dare alternative valide e legali e per fare libri di qualità e ben fatti.
In un mondo dove il digitale porterà ad una (ulteriore) ipertrofia editoriale e l’attenzione sarà la valuta più preziosa, “the real problem is obscurity, not piracy”.
Perché infatti un libro viene piratato? Principalmente per due ragioni: perché è troppo caro o è difficilmente reperibile. O forse, addirittura, perché la copia piratata è fatta meglio dell’originale (un caso meno raro di quanto si pensi).
E’ evidente che le leve da manovrare sono quindi tre: il prezzo, la qualità e la visibilità. Visibilità che significa anche metadati ben fatti, perché il titolo sia reperibile attraverso diverse chiavi di ricerca. Non è un lavoro facile, ma gli editori sono quelli che possono farlo meglio. Per questo secondo me non devono avere paura, ma solo adattarsi al nuovo mondo e non entrarci come si entra in una casa infestata dai fantasmi (e dai pirati), ma come si entrerebbe in una stanza già nota, ma ammobiliata in modo diverso. Bisogna solo adeguarsi alla nuova disposizione e cambiare gli automatismi, inventarne di nuovi e farli propri.

Questo e altro lo dice molto meglio di me Giuseppe Granieri in un suo recente pezzo eloquente già dal titolo: la pirateria è un fattore di sistema in cui fa un’affermazione che ritengo importante e giusta: “abitiamo una cultura che aggiorna le sue regole con molta più lentezza rispetto alle nuove pratiche che adottiamo.”
La rapidità con cui avanza la tecnologia rende difficile tenere il passo, è vero, ma penso sia altrettanto vero che nel campo editoriale (come è stato in quello discografico e musicale) chi non si adegua rapidamente alle nuove regole rischia di uscire dal gioco prima degli altri.

E’ un mondo adulto, direbbe Paolo Conte, e se si sbaglia bisogna farlo da professionisti.

comprare libri con un tweet

In questo post Marco Giacomello, una delle fervide menti che hanno partorito e coordinato il progetto di “La lettura digitale e il web” (a cui mi fregio di aver dato il mio contributo) spiega come è stato possibile in 14 ore ottenere più di 1000 download dell’ebook a prezzo di un tweet.
Si tratta di un’iniziativa già sperimentata da altri, ma sinceramente non so se con lo stesso successo, anche dal punto di vista del rapporto download-ore.
Quali indicazioni si possono trarre da tale esito?
Forse che i social netework sono ormai a pieno diritto entrati a far parte del marketing anche editoriale e che ignorarlo da parte degli editori potrebbe alla lunga risultare controproducente.
Quando si parla di cambiamento del paradigma si intende anche questo e l’uso di nuovi linguaggi di comunicazione e di nuove modalità di porsi e proporsi ai lettori, soggetti sempre più attivi di una filiera che si restringe e allo stesso tempo paradossalmente si dilata orizzontalmente e il passaparola diventa bit e si riverbera in maniera mai vista prima.

Sicuramente l’operazione fatta dai miei amici potrà e credo dovrà essere analizzata (magari proprio alla prossima edizione di Librinnovando in aprile a Roma) e non si escludono critiche, osservazioni, obiezioni. Ma non potrà (e dovrà) essere ignorata, pena la miscomprensione – se mi permettete il mezzo neologismo – di un fenomeno che anche e soprattutto nel selfpublishing potrebbe essere lo strumento più adatto per bypassare parecchi ruoli ora delegati ancora a soggetti della filiera editoriale e che meno di altri hanno la volontà e la disponibilità di mettersi in discussione e ripensare il proprio ruolo.

uroboros, vedi alla voce: piccoli(ssimi) editori, social network e il digitale che avanza

Qualche tempo fa, parlavo amabilmente con Andrea Malabaila di Las Vegas Edizioni in un post in cui mi domandavo quanto e come il digitale e i social network possono aiutare i piccoli editori in termini di visibilità, marketing e reperibilità dei titoli. Concludevo la chiacchierata con un invito a tutti i microeditori che volessero parlare di sé, dando la mia disponibilità a ospitarli.

Ebbene qualcuno si è fatto avanti, nella fattispecie una realtà editoriale davvero lillipuziana e giovane (appena un anno), Edizioni Uroboros, di cui mi ha interessato una caratteristica: nata e stabilmente attiva nel territorio lombardo, sta però utilizzando la rete e i network sociali per allargare il suo raggio d’azione e per agevolare questa strategia propone i suoi libri in veste sia cartacea sia digitale. La parola quindi al direttore editoriale Mario Barone e a Lavinia Caradonna, suo ufficio stampa.

1. Una breve storia di Eurobos: di che cosa si tratta, quando nasce e perché.

Mario Barone – Nasce nel 2010 (un anno fa circa) dall’idea di tre amici che lavorano in settori diversi da quello editoriale, ma accomunati dalla passione per i libri e per alcune storie poco presenti nel sovraffollato mondo editoriale italiano.

2.  Ho visto che ogni libro del catalogo è disponibile in versione PDF alla metà del prezzo cartaceo. Che riscontri avete? Pensate di apporntare anche versioni in .epub (se non addirittura .mobi)?

Mario Barone – I riscontri sono limitati. L’editoria digitale in Italia per ora è solo un’idea degli editori e probabilmente passerà qualche anno prima che anche in Italia ci sia il boom come è successo negli Stati Uniti di recente, ma Uroboros vuole essere pronta: a breve avremo anche la versione .epub dei nostri libri.

Lavinia: Il mercato dell’editoria digitale è un po’ curioso qui in Italia; moltissimi italiani possiedono un device di ultima generazione, ma circa la metà, forse ancora meno, li usa anche per leggere libri. Per il momento abbiamo preferito il pdf per una questione di praticità, ma presto cominceremo a convertire il nostro catalogo anche in formato .epub, con una proposta di affiliazione ad alcuni dei maggiori distributori online. Per quanto riguarda il formato .mobi, attualmente preferiamo non occuparcene: la diffusione del Kindle in Italia è abbastanza “underground”, nonostante l’alto livello del prodotto. Vorremmo vedere un po’ come si evolve la situazione Amazon nostrana per poterci poi fare un’idea precisa. Diciamo che è una probabilità che non escludiamo, ma che per il momento preferiamo tenere da parte.

3. Da un inizio “locale” e cartaceo, sembra vi stiate avviando a essere sempre più presenti nei social network. Avete una strategia e degli scopi precisi? Come pensate possano utilizzati facebook e twitter da un editore e cosa vi aspettate da questi nuovi mezzi?

Mario Barone – Uroboros è una neonata e piccolissima casa editrice, il nostro zoccolo duro per ora è Milano (dove siamo nati) e naturalmente i social network sono fondamentali per aggiornare i nostri lettori sulle iniziative, gli eventi e le novità di Uroboros.

Lavinia – Ormai la presenza sui social network è un passo assolutamente obbligatorio per qualsiasi azienda. Facebook e Twitter in particolare favoriscono una sorta di passaparola che per le piccole realtà come noi si rivela essere estremamente decisivo. La nostra pagina su Facebook (facebook.com/eduroboros) è stata creata poco prima dell’estate e si sta rapidamente avviando verso la cinquantina di fan. Ci ha permesso di annullare in qualche modo la distanza tra noi e i lettori: solo rafforzando il nostro legame col pubblico possiamo lavorare nel pieno interesse di chi ci ha dato la sua fiducia scegliendo i nostri libri. Altri spazi in cui siamo presenti sono YouTube (youtube.com/user/edizioniuroboros), con un account che raccoglierà tutte le nostre presentazioni e apparizioni video, e aNobii (anobii.com/eduroboros), il social network dei libri, con le schede delle nostre pubblicazioni a disposizione degli utenti che ci hanno letto e che, nel caso, abbiano voglia di recensirci. Implementare questo lato “social” è stato, e continua ad essere, uno dei primi obiettivi dell’Ufficio Stampa. Il debutto su di essi è stato piuttosto positivo, al momento ci occupiamo principalmente di riportare news in modo che i lettori possano tenersi aggiornati sulle nostre attività senza per forza accedere al nostro sito o essere iscritti alla newsletter, ma posso sicuramente anticipare che stiamo progettando una serie di iniziative pensate su misura.

4. Mi interessa in particolar modo la collana “Bookarest”. Potreste parlamene più approfonditamente e dirmi magari come cercate e individuate gli autori e qualcosa sulle prossime uscite? 

La collana Bookarest è un progetto molto ambizioso ma difficile da portare avanti, ma è un progetto su cui stiamo puntando tanto (le partnership con Le vie dell’est e E-Ghibli  ne sono una prova). Notizia recente: dirigerà la collana la scrittrice rumena Ingrid B. Coman.

Lavinia: Anche in questo caso il web ci aiuta moltissimo. Attualmente stiamo vagliando una serie di autori che ci sembrano interessanti, ma vi diremo tutto a tempo debito!

Da parte mia, non mi resta che fare gli auguri a questo giovane marchio editoriale, rinnovando il mio invito a tutti coloro che desiderano parlare della propria casa editrice sul mio  blog.