la backlist si addice al digitale?

Sono del parere che i dubbi, quando uno li ha, è meglio che li condivida e perciò ho deciso di mettere sul tavolo alcuni interrogativi e argomenti che da un po’ mi frullano in testa.

Quello di cui voglio parlare oggi riguarda l’utilizzo digitale che gli editori potrebbero fare (e il ritorno che ne potrebbero avere) della cosiddetta backlist, cioè in pratica i libri ,di autori anche famosi, ormai fuori catalogo o comunque poco reperibili.

A partire dalla trasmissione di radiotre Fahrenheit fino ad iniziative in rete più recenti promosse dalle attivissime ragazze di librisulibri, è pieno di persone che cercano disperatamente libri ormai introvabili, spesso non per il loro scarso valore ma per una macchina editoriale che sforna libri e contemporaneamente li centrifuga a velocità pazzesca, rendendo assai difficile il lavoro per il libraio e confuso l’orizzonte del lettore, anche il più attento.

Un articolo che ho letto recentemente sottolinea invece come questi libri, riversati in digitale, potrebbero rivelarsi una piccola “miniera d’oro” per l’autore e quindi l’editore, se solo ci fosse la volontà di riproporli e di promuoverli in modo intelligente.

Insomma, se non l’avete capito io sono dell’idea: leggiamo di più ciò che ci siamo persi, piuttosto che sfornare robaccia a tutti i costi.

Non la pensa del tutto così però Riccardo Cavallero (Mondadori) il quale ha detto a marzo dal palco di Ebook Lab Italia “pubblicare (in digitale) tutto, pubblicare subito”, ma non però le backlist. Almeno non subito, e in effetti spiega anche il perché e dice cose ragionevoli. Personalmente sono molto curioso di vedere come si muoveranno i grandi editori in proposito.
Voi che ne pensate?

Inviato tramite WordPress for BlackBerry.

amazon e kindle: la mossa del cavallo

Piaccia o non piaccia, penso proprio che la prima pagina di questa settimana se la meriti Amazon, che in tre mosse una successiva all’altra porta sicuramente sulla scacchiera dell’editoria digitale un fremito pregno di conseguenze che potranno essere valutate appieno solo con il tempo. Ogni mossa opera su un fronte diverso e ogni fronte è importante e delicato.

Mossa 1 – fronte del prezzo: Kindle scontato (ma con pubblicità)
è forse quella più controversa, nel senso che non pochi (me compreso) hanno storto la bocca al pensiero di trovarsi la pubblicità durante la lettura di un ebook per un risparmio di appena 25 dollari (al cambio attuale circa 17 euro). Vale così poco la nostra attenzione? Ho trovato qui una buona riflessione sull’argomento, mentre sul NYT quelli di Amazon spiegano che comunque “People could buy the less expensive Kindle and then avoid the ads by turning off Wi-Fi” e che quindi la cosa non inficierebbe la loro reading experience.
Qualcuno ha già chiesto pareri in giro per twitter e se da una parte prevale una certa perplessità, dall’altra c’è anche curiosità su un esperimento che sicuramente ha lanciato un sasso che farà parecchi cerchi nell’acqua.

Mossa 2 – fronte delle biblioteche: Kindle book disponibili nelle biblioteche
La valenza di questa mossa è molteplice, come anche sottolinea l’articolo testé linkato nonché quello di Teleread, completo a sua volta di link molto interessanti. Da una parte Amazon non fa altro che entrare nelle biblioteche, dove già c’erano il Nook e il Sony Reader, quindi in un certo senso potrebbe sembrare una mossa tardiva. Però non dimentichiamo che il Nook e il Sony sono due “semplici” e-reader, il Kindle è qualcosa di più, dato che Amazon ne ha fatto un vettore capace di farci entrare in un vero e proprio ecosistema per cui possederlo è avere un’esperienza sia come lettore, sia eventualmente come autore (vedi il self publishing di scrittori che su Amazon hanno trovato insperata visibilità e alcuni di loro anche il successo).
A parte questo, Amazon entra nelle biblioteche statunitensi con una sorta di arma segreta che si chiama Whispersync: si tratta di una tecnologia che permette di apporre sul libro digitale preso in prestito note e appunti, cosa in sé vietatissima in biblioteca, se non fosse però che in questo caso le note non saranno visibili se non a colui che le ha poste, il quale potrà ritrovarle in caso riprenda a distanza di tempo lo stesso libro o, addirittura, decida un giorno di comprarlo. Non male, direi.
E non dimentichiamo nemmeno che non è necessario avere un Kindle per fare tutto ciò, dato che è possibile leggere libri di Amazon anche grazie alle app per ogni tipo di supporto, iPad incluso.
Giustamente si è parlato infatti non solo di guerra di device, ma anche di formati, tanto da far pronunciare a qualcuno la frase ePub is dead. E, se leggete il pezzo, le motivazioni di quest’affermazione sicuramente provocatoria non sono poi così peregrine.

Per quanto riguarda le biblioteche nostrane, ho trovato sul google group ebook e biblioteche un interessante intervento da parte di Giulio Blasi, che se da una parte ridimensiona in un certo senso la mossa di Amazon (ma forse perché la vede più dal punto di vista bibliotecario che non editoriale)  dall’altra non chiude affatto le porte ad un eventuale arrivo del Kindle nelle biblioteche italiane:

(…) Semplicemente il Nook è compatibile con il DRM Adobe che
è il sistema che usa Overdrive e quindi un utente che possiede quell’ereader può usarlo anche in biblioteca per fare il check out dei titoli. Il paradosso era che questo non si poteva fare con l’ereader più diffuso negli USA, cioè il Kindle. Fra poco diventerà possibile sulla base di quell’accordo.

Per quanto riguarda l’Italia. Tutti i lettori DRM Adobe compatibili commercializzati in Italia (ma anche il Nook se qualcuno ce l’ha) potranno essere utilizzati per usare il servizio di digital lending che MLOL attiverà nel giro di qualche settimana (lancio al Salone di Torino).

Quando arriverà Amazon (con gli e-book italiani) anche in Italia, ci attiveremo per offrire il servizio anche con il loro e-reader naturalmente.

Mossa 3 – fronte penetrazione nel Vecchio Continente: apertura del Kindle Store in Germania.
La notizia è recente e altrettanto contudente: il Kindle e-bookstore apre in Germania con più di 25 mila titoli disponibili, di cui 71 su 100 bestseller della classifica dello Spiegel  e migliaia di classici della letteratura tedesca scaricabili gratuitamente.

Amazon sa benissimo che, in Europa, il mercato digitale tedesco è secondo solo a quello inglese (dati di Ifbookthen) per potenzialità e prospettive, quindi da una parte questa mossa non è né casuale né da un certo punto di vista sorprendente. Tutto sta a vedere quanto potrà anche in questo caso muovere le acque lontano dal suo epicentro, cioè anche in paesi come Francia e Italia.
Per quanto ci riguarda, sempre stando ai dati di Ifbookthen linkati poco sopra, l’Italia non avrebbe niente da invidiare ai tedeschi per infrastrutture di  vendita e distribuzione, molto di più invece per quanto riguarda la disponibilità di titoli in digitale e la diffusione degli e-reader.
Quale di queste due caratteristiche poi sia causa o conseguenza dell’altra, è un bell’interrogativo che non mi vado certo a porre la sera di Pasqua.

Anzi a proposito, auguri a tutti voi.

là dove il digitale non eguaglia la carta

Va bene l’innovazione, va bene l’entusiasmo della novità digitale, ma a volte penso che la misura sia colma.
Da nativo cartaceo, mi son ben volentieri messo alla prova con l’ebook e, come sa chi frequenta questo blog, ne penso parecchio bene, sebbene abbia dubbi e riserve che solo con il tempo e il perfezionamento tecnologico dei supporti, forse, si dissolveranno.
Però, da nativo cartaceo, sono indissolubilmente legato a particolari gesti e abitudini, a determinati oggetti che trovo insostituibili sotto altre forme. Uno di questi oggetti è il Moleskine.

Io ne ho posseduti e ne possiedo ancora, ma ci scrivo sempre meno frequentemente,  tradendoli, ebbene sì, con il più pratico appunto veloce nello smartphone, che non richiede penna, posizione favorevole e tutto il resto.
Però il Moleskine è il Moleskine, e non mi sognerei mai di trasporlo in digitale, come invece è stato fatto con questa app per iPad che mi ha fatto pensare al piacere che darebbe il sesso virtuale per di più con un modem a 56k di velocità.

Un’altra iniziativa che mi lascia assai perplesso è questa di Touch Press, una casa editrice che, a detta del comunicato stampa, non solo “non produrrà mai un libro cartaceo” (e fin qui, niente di male), ma addirittura promette di rendere obsoleti anche gli ebook (di già?) e per fine aprile ci riserva nientepopodimeno che La terra desolata di Thomas Stearns Eliot in 3D.
Devo dire che pensare di leggere un poema bellissimo come quello di Eliot con gli occhialini, mi fa venir voglia di tornare al pennino e calamaio.

Fedele al mio credo che non prevede monoteismo tecnologico ma piuttosto un fruttuoso binomio cartaceo + digitale, vedo invece benissimo operazioni come quella di Gallucci editore che ha realizzato un libro molto interessante, dal titolo Il libro nero dei colori,  un’idea molto originale dove  il libro si legge non con la vista, ma privilegiando i sensi  troppo spesso negletti dell’olfatto e del tatto.
Un libro per tutti, ipovedenti, bambini e soprattutto i troppo sicuri di sé e della tecnologia.

Infine, se proprio volete disfarvi della vostra biblioteca cartacea e sostituirla con
device digitali, riutilizzate in maniera alternativa i buoni vecchi libri cartacei, che a quanto pare anche da “morti” possono esserci molto utili.
Poi provate a pensare lo stesso con i loro discendenti digitali.

Al massimo, vi verrà fuori un vassoio per due tazzine di caffè.

le qualità del libro digitale (2) – perimetro, volume, estensione

Nell’ambito della questione sulle qualità (obbligatoriamente al plurale) dell’ebook, questa volta ho invitato due nuovi interlocutori ad esporre altre differenti prospettive sul libro digitale: una è quella di chi il testo lo edita e lo accompagna dalle doglie del manoscritto fino alla sua venuta al mondo ufficiale sottoforma appunto di libro. L’altro è il punto di vista dell’autore vero e proprio, cioè di colui che crea ed elabora la storia e si trova ora nella possibilità di bypassare l’editore con tutto ciò che consegue. Ma cosa ne consegue? E come nasce un libro, digitale e non?

Del tanto difficile quanto oscuro lavoro dell’editor avevo parlato un po’ di tempo fa, ma per il risvolto digitale di questo mestiere mi sono affidato a Letizia Sechi, autrice per Apogeo di Editoria digitale, un testo credo fondamentale per ogni editor o aspirante tale.

Letizia, quali competenze tecniche saranno secondo te indispensabili per l’editor nell’era del libro digitale?

“Elimino la suspance: la prima competenza necessaria è l’attitudine al lavoro di squadra. L’editoria digitale rende ancora più evidente quanto dovrebbe già essere alla base di ogni casa editrice: lo spettro di competenze necessarie si amplia ed è impensabile che una sola persona sia artefice o responsabile del percorso che porta alla realizzazione del libro. All’editor spetta forse il salto di mentalità più complesso: continuare a fare il suo mestiere – selezionare idee da pubblicare – con in testa non solo il libro di carta ma anche le possibilità che il digitale offre. Prima di tutte le altre figure, l’editor dev’essere un lettore digitale. Se ne è parlato anche al TOC di Bologna, casomai avessimo bisogno di un punto di riferimento autorevole: nessuno si sognerebbe mai di pubblicare un libro senza averne mai letto uno. Per gli ebook, oggi, non sempre vale la stessa regola. La conoscenza derivata dalla pratica delle tecnologie a disposizione dell’editoria permette di immaginare nuove soluzioni per il “confezionamento” delle idee dell’autore: e l’autore va coinvolto in questo, non c’è dubbio. Bisogna poi che l’editor sia in grado di capire quali altre figure professionali servono per realizzare l’opera nel modo in cui la si va progettando: quali tecnologie, quali persone, i costi giusti per la realizzazione del lavoro. I professionisti che dovranno occuparsi della realizzazione tecnica dovranno essere coinvolti nell’ideazione del contenuto: la loro esperienza è fondamentale per capire in che modo sfruttare al meglio la tecnologia per dare valore all’opera. Non è più un rapporto a due: editor-autore, editor-impaginatore, editor-grafico, eccetera; è un concerto e l’editor deve essere in grado di supervisionarne lo sviluppo tenendo conto delle diverse professionalità che ne sono parte: autori, grafici, sviluppatori o chiunque altro sia necessario al tipo di realizzazione che si ha in mente. Dal punto di vista tecnico l’editor deve imparare qualcosa? Sì, certo: dovrebbe come minimo padroneggiare i formati digitali allo stesso modo della copia stampata. Sapere cosa è o non è un errore o un problema a seconda del formato scelto. Questo non significa diventare programmatori, però. Non credo che a nessuno venga in mente di dire che l’editor deve essere un buon tipografo, non vedo perché il discorso dovrebbe funzionare nell’editoria digitale: a ciascuno il suo mestiere. Quello che ci si aspetta dall’editor sono due cose: prima di tutto la capacità di scegliere e dare valore al contenuto. Pensarlo in digitale, non pensare di tradurre l’idea buona per la carta in digitale. Poi la competenza nel valutare il lavoro del tipografo. O chiunque esso sia diventato.”

Parlando di contenuti, è indispensabile dare quindi la parola a chi il contenuto lo crea, ovvero l’autore, il demiurgo del testo e primo motore immobile di tutta la filiera editoriale.
A tale proposito ho coinvolto nel dibattito il mio più caro amico Paolo Marasca, che guarda caso è uno scrittore: il suo primo romanzo, La qualità della vita, ha avuto quella che si dice un’ottima accoglienza da critica e pubblico e già sta lavorando al secondo, che posso dirvi per certo, avendo lette le bozze quasi definitive, è ancora più bello.

A Paolo chiedo come vede, da autore, la prospettiva del self publishing, che sembra sia la grande opportunità  e risorsa del digitale per chi scrive, e cosa pensa del social reading.

“Cercherò di essere sintetico e, quindi, perderò per strada le sfumature di questioni estremamente complesse. Non me ne vogliano i lettori di questo blog. Non sono contrario al self publishing di per sé, ma non nego di essere piuttosto scettico al riguardo, per le ragioni che sintetizzo qui di seguito:

1) Da anni l’arte contemporanea e la musica hanno dimostrato tutti i limiti dell’autoproduzione, sia pure a fronte della scoperta di una minoranza di veri talenti (poi comunque rientrati nei ranghi del mercato tradizionale). Non credo che per la letteratura sarà diverso.
2) Il mercato editoriale è letteralmente strozzato dalla grande distribuzione, così come lo sono le librerie indipendenti. Un editore, specie se talent scout, non ha i mezzi per svolgere un lavoro di qualità. Un libraio, specie se bravo e attento, non ha i mezzi per confrontarsi con le grandi catene e dare visibilità ad una certa letteratura. Risolvere questo nodo sarebbe la vera rivoluzione, mentre credere che il self publishing possa bypassarlo mi sembra una chimera.
3) Lo spreco di talento è dietro l’angolo. Un autore, magari giovane, dovrebbe avere la possibilità di confrontarsi con un editore, vedere la propria opera da un diverso e professionale punto di vista, imparare a gestire le proprie capacità. Sono assai rari gli esempi di atleti privi di allenatori e non credo che vengano su campioni che apprendono le impugnature del tennis da Youtube. Per la scrittura, non è poi tanto diverso: il bravo editore è un patrimonio, non un fastidioso intermediario.
4) Il mercato non è democratico. Esso si muove secondo sottili equilibri relazionali e favorisce il detentore di un capitale economico, umano e soprattutto, oggi, sociale. Il talento eccezionale ma povero di risorse ha sempre meno possibilità di essere scoperto, perlomeno parlando di grandi numeri. Che possa capitare, è chiaro, ma che sia più probabile rispetto al vecchio mercato editoriale, non lo credo affatto.
5) La tecnologia odierna potrebbe essere utilizzata per supportare l’editoria di qualità e il lavoro di editori e addetti, prima che per proporre edizioni fai-da-te di opere che magari avrebbero potuto essere migliori. Credo sia necessario aiutare editori e librai, non i già troppi autori pieni di sé e delle proprie parole.
6) D’altro canto, la tecnologia e il fai-da-te sono ottimi per le opere minori o secondarie, gli scritti marginali degli autori, i lavori collettivi e sperimentali etc. etc.. La tecnologia, infine, grazie agli e-book, è uno strumento imprescindibile che potrà dare vita a nuove forme di creazione e cambierà di certo l’editoria contemporanea.

Ma dio salvi l’editore in un mondo dove scrivono tutti e leggono pochi.

A proposito del social reading, solo due parole. Non amo particolarmente i vecchi gruppi di lettura (questione di gusto, li apprezzo ma non mi ci trovo), quindi non ho molti riferimenti al riguardo. Vedo il buono di una forma di vera e propria “riscrittura” collettiva del testo che, grazie ad annotazioni, citazioni, sottolineature, diventa altro da se stesso. Niente di male, anzi. Vedo invece il danno nella perdita di quel che di meglio hanno i gruppi di lettura tout court: le relazioni umane che si intessono grazie ad un libro galeotto, i flirt intellettuali e non solo, l’amicizia che è più importante del testo su cui ci si confronta.

Ma dio salvi i lettori in un mondo dove tutti scrivono e poi rileggono solo se stessi.”

Beh, più chiaro di così…

Da parte mia, aggiungo solo una considerazione fatta durante una delle chiacchierate digitali con il mio amico scrittore: il self publishing sarà appetibile, da autori inediti o meno, finché l’editore imposterà il rapporto con l’autore come un rapporto di forza, Ora, con il digitale, sembra – dico sembra – che si possa sperare in una modificazione degli equilibri e in un mutamento di questo rapporto da verticale a orizzontale (è questo del resto il cambiamento d’asse tipico della Rete), cioè da imposizione a collaborazione o comunque compartecipazione.

Detto questo, mi metto in un angolo e attendo di avere anche  i vostri pareri, dal momento che un blog serve soprattutto per questo.

Inviato tramite WordPress for BlackBerry.

le qualità dell’ebook e gli ebook di qualità – parte prima

Quando si parla di qualità di un libro, e in particolare di un libro digitale, si possono intendere varie cose: la prima che viene in mente è la qualità intrinseca del testo, argomento quanto mai soggettivo e, con il diffondersi del self publishing, sempre più controverso. Ne parla Giuseppe Granieri nel suo spazio settimanale sulla Stampa, che consiglio a tutti a prescindere, perché pochi riescono come Granieri ad essere esaustivi senza dilungarsi e competenti senza andare nello specialistico.

Ma la peculiarità dell’ebook, come ben si sa, è quella di scindere contenitore e contenuto, proponendo il binomio ereader e testo come quello hardware – software, con tutto ciò che ne consegue. E ciò che ne consegue è l’emergere di nuove qualità, questa volta tecnologiche, che influenzano e condizionano la lettura. Si va dal tipo di reader usato – ma questo è un argomento che ho già affrontato altrove – al modo in cui è stato digitalizzato il testo, che non sempre, o almeno non ancora, sembra impeccabile. Anzi.

Se ne è parlato ultimamente su Twitter tra appassionati, addetti ai lavori, informatici, tutti accomunati dal fatto di essere lettori, lettori forti. E quindi esigenti. Non solo per i contenuti, ma anche per il modo in cui questi vengono diciamo così confezionati. L’impressione che emerge è che troppo spesso si finisce per avere in mano testi trattati in modo approssimativo, pieni di refusi più dei loro parenti cartacei e inficiati da errori grossolani; questo non solo a causa di eventuali conversioni da un formato all’altro dopo l’acquisto per ragioni di hardware (chi ha il kindle, per esempio, non può leggere testi in .epub e li converte in .mobi con il famigerato Calibre), ma proprio per superficialità dell’editore nell’approcciarsi al testo digitale e alla sua realizzazione.
L’argomento mi intriga parecchio e non essendo all’altezza di districarmi con sufficiente agilità nelle spire di un tema così vasto, ho chiesto ad altri, ben più qualificati di me, di dire la loro. Uno è Fabio Brivio, già incontrato qualche tempo fa, a cui questa volta ho chiesto una consulenza più tecnica; l’altro è Gabriele Alese, responsabile della produzione digitale di E/O ed Europa Editions.

A Fabio Brivio, di cui è uscito da pochissimo ePub per autori, redattori, grafici, ho fatto due domande rapide e precise: la prima su Adobe Digital Editions, che chi legge i libri protetti da DRM chiuso conosce bene. Ebbene, dal punto di vista tecnico, quali sono i suoi aspetti positivi e quali i negativi?

La risposta, molto più concisa della domanda: “Negativi, il non completo supporto dello standard (ma questo vale anche per altri engine). Positivi, la portabilità su praticamente tutti i sistemi. Il mio sogno è sempre un unico engine open e al 100% rispettoso dello standard ePub.”

DOMANDA: con ePub3 e in generale l’evoluzione dei mezzi tecnici a disposizione, fare ebook di qualità (tecnica) sarà più facile, più conveniente o semplicemente più naturale rispetto ad oggi?

“Parlerò di ePub3 quando la specifica evolverà in raccomandazione. per ora quello che si è visto, letto, detto è interessante, a partire dalla maggiore attenzione richiesta sui meccanismi che regolano il TOC NCX.
Attenzione però: HTML5 e CSS3 alzano il livello e per fare buoni ePub sarà necessario un maggiore rigore e competenza. Poi aspettiamo sempre editor ad hoc. In primis InDesign CS 5.5 che dovrebbe essere rilasciato questa estate e che dovrebbe permettere di esportare in ePub3. Vedremo nella pratica: non mi aspetto miracoli, visto che sia CS4 che CS5 permettono si di esportare in ePub2, ma non in maniera perfetta. La perfezione tipografica non è ancora perseguibile in tutti gli ePub e soprattutto su tutti i device.
Tuttavia se le critiche riguardano ePub grossolanamente creati con tool che promettono di fare tutto con un solo clic, beh, allora sono corrette. Un ePub prima di essere pubblicato deve essere sempre controllato su un paio di device (almeno) e problemi come righe interrotte o parole tronche o con i caratteri accentati saltati (sono solo esempi) vanno fissati.
Non esiste un tool di conversione talmente performante da permettere di evitare il controllo e il file tuning da parte di chi si accinge a rilasciare un ePub. Un buon ePub non si puó fare con un clic. Costa tempo e soldi.”

Tempo, soldi, fretta dell’editore di essere nell’arena digitale per necessità e non per scelta: Gabriele Alese, durante la discussione su Twitter, ha parlato non a caso di mercato italiano ancora “immaturo”. Gli ho chiesto se volesse approfondire il concetto, soprattutto tenendo in considerazione un elemento non secondario: il fatto cioè che da noi l’ebook è arrivato tardi rispetto ad altri paesi (gli USA per tutti, ma anche UK), avrebbe potuto costituire un vantaggio in quanto, potendo osservare le dinamiche già sviluppatesi altrove, potevamo farne tesoro evitando gli errori fatti e valorizzando gli aspetti positivi. Però questo non sembra tanto vero, quanto piuttosto pare di assistere a ciò che dice Alese – cioè l’immaturità di un mercato che invece di farsi trovare pronto stenta a comprendere i nuovi paradigmi.
Alla luce di ciò, chiedo ad Alese come ed eventualmente quando pensa possa arrivare a maturazione questo mercato e quali ritiene ne siano le criticità maggiori da superare da una parte e, dall’altra, le opportunità specificamente “italiane”.

“Il momento di fisiologica immaturità del mercato editoriale digitale italiano va contestualizzato alla luce di alcune premesse che, complici i fattori emotivi dell’entusiasmo o del criticismo ad ogni costo, si tende a sottovalutare. Anzitutto, nonostante i primi esperimenti siano partiti con un certo anticipo rispetto ai big player, il mercato italiano “esiste” sostanzialmente da ottobre, quando hanno fatto il loro ingresso sulla scena i grandi marchi editoriali (Mondadori, Edigita, GeMS) con la relativa coverage sui mezzi d’informazione generalista. Sullo stesso piano è necessario considerare che il primo periodo in cui sono comparsi sul mercato consumer italiano (comprese le grandi catene, che, è inutile sottolinearlo, costituiscono la vetrina principale per il grande pubblico) i dispositivi di lettura ad inchiostro elettronico è quello del passato Natale. Parliamo quindi di un mercato appena nato, attorno al quale si respira grande curiosità, grande attenzione ma che ha dato ben poche certezze agli operatori del settore.
Ciò considerato, i primi dati – che vanno considerati, lo ripeto, con prudenza – mostrano una crescita significativa e sostenuta anche oltre la durata dell’hype natalizio. In termini assoluti, parliamo di un mercato che oggi costituisce l’1% del mercato editoriale italiano (siamo sulle stesse dimensioni della Francia) e che cresce rapidamente. Volendo cercare a tutti i costi il confronto con gli US, siamo ai livelli di circa tre anni fa. Ma questo confronto è fuorviante: esistono profonde e significative differenze che rendono il mercato americano troppo diverso da quello italiano per procedere a comparazioni di qualche interesse. Anzitutto, perché negli States il Kindle di Amazon, universalmente riconosciuto come locomotiva degli eBook, ha vissuto un limbo durato piuttosto a lungo: il primo modello è del novembre 2007, e il vero successo è arrivato con la seconda generazione, che è uscita nel 2009. Proprio nel 2009 il mercato digitale americano superava di non molto quota 5%, a fronte di una installed user base molto, molto superiore a quella riscontrabile in Italia. In secondo luogo, negli States gli attori principali del mercato si sono mossi in maniera imponente, investendo pesantemente in quella che hanno ritenuto essere un’opportunità, rendendo disponibile una vastissima scelta di titoli e capitalizzando l’utenza pregressa (Amazon ne è un chiaro esempio, e tutto lascia pensare che proseguirà in questa scelta strategica). Terzo elemento, l’agency model si è imposto diverso tempo dopo il modello grossista: le piattaforme di distribuzione hanno avuto la possibilità di orientare il mercato adottando strategie anche molto aggressive. Si è rivelata una scelta azzeccata, almeno dal loro punto di vista.

Tutto ciò non è stato possibile per l’Italia, che si ritrova in condizioni di spiccata immaturità a causa dell’oggettiva difficoltà di far tesoro dell’esperienza americana nonché della situazione tutt’altro che rosea in cui versava già il mercato editoriale tradizionale. Quante case editrici in Italia offrono tutto il proprio catalogo in formato digitale? A quanto ammontano gli investimenti delle piattaforme di distribuzione italiane? Per non parlare di quante piccole/medie case editrici si sono dotate di personale e competenze adeguate. Se consideriamo che i maggiori distributori digitali sono anche (anzi: principalmente) grandi marchi editoriali tradizionali e financo distributori, capiamo bene che non c’è una visione strategica specifica oltre al semplice «esserci, perché hai visto mai che». Persino per i grandi marchi editoriali, l’eBook continua ad essere proposto come qualcosa di esoterico, per maniaci della tecnologia, rafforzando il sospetto di insormontabile inaccessibilità presso il lettore forte, il cui profilo – più volte ribadito dall’AIE – è ben distante dalla fascia demografica dei “digitalizzati”.
Noi, che abbiamo la preziosa possibilità di valutare sia il mercato digitale italiano delle edizioni e/o sia quello americano della nostra sorella Europa Editions, cogliamo segnali positivi, pur nella nostra posizione di indipendenti, che ci rafforzano nella convinzione con cui abbiamo cominciato ad affrontare questa sfida: offrire ai lettori la migliore letteratura, comunque e ovunque la si voglia leggere.
Tuttavia l’editore è, certo, una delle pedine fondamentali della nuova configurazione del mercato, ma non certo l’unica. La distanza che separa i volumi modesti del mercato digitale italiano da quelli ben più massicci del mercato americano deve essere percorsa da piccoli editori, medi editori, piattaforme e grandi marchi; la sfida è quella di formulare una strategia di penetrazione nei confronti di un mercato che, questa è l’unica certezza che mi sento di avere, esiste e aumenterà le proprie proporzioni, e che valorizzi il prodotto editoriale senza mortificarlo lasciando che il lettore consideri la carta su cui è stampato il proprio romanzo preferito più importante del romanzo stesso.”

Penso converrete che gli interlocutori da me scelti per questa prima disamina sanno davvero il fatto loro.
La prossima volta parlerò – anzi: farò parlare altri interlocutori, altrettanto notevoli – oltreché di competenze tecniche dell’editor digitale, anche del punto di vista dell’autore, soggetto quanto mai interessato e interessante nel nuovo paesaggio che si sta delineando all’orizzonte digitale del libro del futuro.