Quando si parla di qualità di un libro, e in particolare di un libro digitale, si possono intendere varie cose: la prima che viene in mente è la qualità intrinseca del testo, argomento quanto mai soggettivo e, con il diffondersi del self publishing, sempre più controverso. Ne parla Giuseppe Granieri nel suo spazio settimanale sulla Stampa, che consiglio a tutti a prescindere, perché pochi riescono come Granieri ad essere esaustivi senza dilungarsi e competenti senza andare nello specialistico.
Ma la peculiarità dell’ebook, come ben si sa, è quella di scindere contenitore e contenuto, proponendo il binomio ereader e testo come quello hardware – software, con tutto ciò che ne consegue. E ciò che ne consegue è l’emergere di nuove qualità, questa volta tecnologiche, che influenzano e condizionano la lettura. Si va dal tipo di reader usato – ma questo è un argomento che ho già affrontato altrove – al modo in cui è stato digitalizzato il testo, che non sempre, o almeno non ancora, sembra impeccabile. Anzi.
Se ne è parlato ultimamente su Twitter tra appassionati, addetti ai lavori, informatici, tutti accomunati dal fatto di essere lettori, lettori forti. E quindi esigenti. Non solo per i contenuti, ma anche per il modo in cui questi vengono diciamo così confezionati. L’impressione che emerge è che troppo spesso si finisce per avere in mano testi trattati in modo approssimativo, pieni di refusi più dei loro parenti cartacei e inficiati da errori grossolani; questo non solo a causa di eventuali conversioni da un formato all’altro dopo l’acquisto per ragioni di hardware (chi ha il kindle, per esempio, non può leggere testi in .epub e li converte in .mobi con il famigerato Calibre), ma proprio per superficialità dell’editore nell’approcciarsi al testo digitale e alla sua realizzazione.
L’argomento mi intriga parecchio e non essendo all’altezza di districarmi con sufficiente agilità nelle spire di un tema così vasto, ho chiesto ad altri, ben più qualificati di me, di dire la loro. Uno è Fabio Brivio, già incontrato qualche tempo fa, a cui questa volta ho chiesto una consulenza più tecnica; l’altro è Gabriele Alese, responsabile della produzione digitale di E/O ed Europa Editions.
A Fabio Brivio, di cui è uscito da pochissimo ePub per autori, redattori, grafici, ho fatto due domande rapide e precise: la prima su Adobe Digital Editions, che chi legge i libri protetti da DRM chiuso conosce bene. Ebbene, dal punto di vista tecnico, quali sono i suoi aspetti positivi e quali i negativi?
La risposta, molto più concisa della domanda: “Negativi, il non completo supporto dello standard (ma questo vale anche per altri engine). Positivi, la portabilità su praticamente tutti i sistemi. Il mio sogno è sempre un unico engine open e al 100% rispettoso dello standard ePub.”
DOMANDA: con ePub3 e in generale l’evoluzione dei mezzi tecnici a disposizione, fare ebook di qualità (tecnica) sarà più facile, più conveniente o semplicemente più naturale rispetto ad oggi?
“Parlerò di ePub3 quando la specifica evolverà in raccomandazione. per ora quello che si è visto, letto, detto è interessante, a partire dalla maggiore attenzione richiesta sui meccanismi che regolano il TOC NCX.
Attenzione però: HTML5 e CSS3 alzano il livello e per fare buoni ePub sarà necessario un maggiore rigore e competenza. Poi aspettiamo sempre editor ad hoc. In primis InDesign CS 5.5 che dovrebbe essere rilasciato questa estate e che dovrebbe permettere di esportare in ePub3. Vedremo nella pratica: non mi aspetto miracoli, visto che sia CS4 che CS5 permettono si di esportare in ePub2, ma non in maniera perfetta. La perfezione tipografica non è ancora perseguibile in tutti gli ePub e soprattutto su tutti i device.
Tuttavia se le critiche riguardano ePub grossolanamente creati con tool che promettono di fare tutto con un solo clic, beh, allora sono corrette. Un ePub prima di essere pubblicato deve essere sempre controllato su un paio di device (almeno) e problemi come righe interrotte o parole tronche o con i caratteri accentati saltati (sono solo esempi) vanno fissati.
Non esiste un tool di conversione talmente performante da permettere di evitare il controllo e il file tuning da parte di chi si accinge a rilasciare un ePub. Un buon ePub non si puó fare con un clic. Costa tempo e soldi.”
Tempo, soldi, fretta dell’editore di essere nell’arena digitale per necessità e non per scelta: Gabriele Alese, durante la discussione su Twitter, ha parlato non a caso di mercato italiano ancora “immaturo”. Gli ho chiesto se volesse approfondire il concetto, soprattutto tenendo in considerazione un elemento non secondario: il fatto cioè che da noi l’ebook è arrivato tardi rispetto ad altri paesi (gli USA per tutti, ma anche UK), avrebbe potuto costituire un vantaggio in quanto, potendo osservare le dinamiche già sviluppatesi altrove, potevamo farne tesoro evitando gli errori fatti e valorizzando gli aspetti positivi. Però questo non sembra tanto vero, quanto piuttosto pare di assistere a ciò che dice Alese – cioè l’immaturità di un mercato che invece di farsi trovare pronto stenta a comprendere i nuovi paradigmi.
Alla luce di ciò, chiedo ad Alese come ed eventualmente quando pensa possa arrivare a maturazione questo mercato e quali ritiene ne siano le criticità maggiori da superare da una parte e, dall’altra, le opportunità specificamente “italiane”.
“Il momento di fisiologica immaturità del mercato editoriale digitale italiano va contestualizzato alla luce di alcune premesse che, complici i fattori emotivi dell’entusiasmo o del criticismo ad ogni costo, si tende a sottovalutare. Anzitutto, nonostante i primi esperimenti siano partiti con un certo anticipo rispetto ai big player, il mercato italiano “esiste” sostanzialmente da ottobre, quando hanno fatto il loro ingresso sulla scena i grandi marchi editoriali (Mondadori, Edigita, GeMS) con la relativa coverage sui mezzi d’informazione generalista. Sullo stesso piano è necessario considerare che il primo periodo in cui sono comparsi sul mercato consumer italiano (comprese le grandi catene, che, è inutile sottolinearlo, costituiscono la vetrina principale per il grande pubblico) i dispositivi di lettura ad inchiostro elettronico è quello del passato Natale. Parliamo quindi di un mercato appena nato, attorno al quale si respira grande curiosità, grande attenzione ma che ha dato ben poche certezze agli operatori del settore.
Ciò considerato, i primi dati – che vanno considerati, lo ripeto, con prudenza – mostrano una crescita significativa e sostenuta anche oltre la durata dell’hype natalizio. In termini assoluti, parliamo di un mercato che oggi costituisce l’1% del mercato editoriale italiano (siamo sulle stesse dimensioni della Francia) e che cresce rapidamente. Volendo cercare a tutti i costi il confronto con gli US, siamo ai livelli di circa tre anni fa. Ma questo confronto è fuorviante: esistono profonde e significative differenze che rendono il mercato americano troppo diverso da quello italiano per procedere a comparazioni di qualche interesse. Anzitutto, perché negli States il
Kindle di Amazon, universalmente riconosciuto come locomotiva degli eBook, ha vissuto un limbo durato piuttosto a lungo: il primo modello è del novembre 2007, e il vero successo è arrivato con la seconda generazione, che è uscita nel 2009. Proprio nel 2009 il mercato digitale americano superava di non molto quota 5%, a fronte di una installed user base molto, molto superiore a quella riscontrabile in Italia. In secondo luogo, negli States gli attori principali del mercato si sono mossi in maniera imponente, investendo pesantemente in quella che hanno ritenuto essere un’opportunità, rendendo disponibile una vastissima scelta di titoli e capitalizzando l’utenza pregressa (Amazon ne è un chiaro esempio, e tutto lascia pensare che proseguirà in questa scelta strategica). Terzo elemento, l’agency model si è imposto diverso tempo dopo il modello grossista: le piattaforme di distribuzione hanno avuto la possibilità di orientare il mercato adottando strategie anche molto aggressive. Si è rivelata una scelta azzeccata, almeno dal loro punto di vista.
Tutto ciò non è stato possibile per l’Italia, che si ritrova in condizioni di spiccata immaturità a causa dell’oggettiva difficoltà di far tesoro dell’esperienza americana nonché della situazione tutt’altro che rosea in cui versava già il mercato editoriale tradizionale. Quante case editrici in Italia offrono tutto il proprio catalogo in formato digitale? A quanto ammontano gli investimenti delle piattaforme di distribuzione italiane? Per non parlare di quante piccole/medie case editrici si sono dotate di personale e competenze adeguate. Se consideriamo che i maggiori distributori digitali sono anche (anzi: principalmente) grandi marchi editoriali tradizionali e financo distributori, capiamo bene che non c’è una visione strategica specifica oltre al semplice «esserci, perché hai visto mai che». Persino per i grandi marchi editoriali, l’eBook continua ad essere proposto come qualcosa di esoterico, per maniaci della tecnologia, rafforzando il sospetto di insormontabile inaccessibilità presso il lettore forte, il cui profilo – più volte ribadito dall’AIE – è ben distante dalla fascia demografica dei “digitalizzati”.
Noi, che abbiamo la preziosa possibilità di valutare sia il mercato digitale italiano
delle edizioni e/o sia quello americano della nostra sorella Europa Editions, cogliamo segnali positivi, pur nella nostra posizione di indipendenti, che ci rafforzano nella convinzione con cui abbiamo cominciato ad affrontare questa sfida: offrire ai lettori la migliore letteratura, comunque e ovunque la si voglia leggere.
Tuttavia l’editore è, certo, una delle pedine fondamentali della nuova configurazione del mercato, ma non certo l’unica. La distanza che separa i volumi modesti del mercato digitale italiano da quelli ben più massicci del mercato americano deve essere percorsa da piccoli editori, medi editori, piattaforme e grandi marchi; la sfida è quella di formulare una strategia di penetrazione nei confronti di un mercato che, questa è l’unica certezza che mi sento di avere, esiste e aumenterà le proprie proporzioni, e che valorizzi il prodotto editoriale senza mortificarlo lasciando che il lettore consideri la carta su cui è stampato il proprio romanzo preferito più importante del romanzo stesso.”
Penso converrete che gli interlocutori da me scelti per questa prima disamina sanno davvero il fatto loro.
La prossima volta parlerò – anzi: farò parlare altri interlocutori, altrettanto notevoli – oltreché di competenze tecniche dell’editor digitale, anche del punto di vista dell’autore, soggetto quanto mai interessato e interessante nel nuovo paesaggio che si sta delineando all’orizzonte digitale del libro del futuro.