Come finisce il libro: 4 considerazioni

di Salvatore Nascarella (@nascpublish)

Ho letto tempo fa Come Finisce il libro. Contro la falsa democrazia dell’editoria digitale. Quelle che seguono sono alcune considerazioni nate dalla lettura.
Cominciamo col dire che a me i libri che pongono domande piacciono molto, perché preannunciano risposte. Il nostro 33_comefinisceillibroinizia proprio così. Ancor più importante, se parliamo di saggi, è che siano riportati dati e fonti in maniera precisa e facilmente riscontrabile. Infine, per cercare di descrivere quel che sta accadendo nel complesso mondo editoriale serve una buona capacità di sintesi e organizzazione del pensiero per tenere viva l’attenzione di un lettore. Bisogna dire che su questi fronti Gazoia ha colto nel segno.
Quella di Gazoia (su Twitter @Jumpinshark) è un’analisi dello stato delle cose che riguarda la galassia del libro, digitale e non: è un percorso attraverso i mutamenti che stanno condizionando e ristrutturando l’editoria, è un dialogo diretto con il lettore, senza manie di protagonismo, con l’obiettivo di condividere informazioni e far conoscere meglio il settore editoriale.
Ho ricavato dalla lettura del libro alcuni spunti di riflessione.

1. Siamo propensi ad accumulare e in qualche modo possedere contenuti. Lo facevamo con quelli “analogici” e replichiamo gli stessi comportamenti con il digitale. Spesso cerchiamo contenuti che siano, almeno per noi, sempre nuovi. Questo implica da una parte una certa bulimia che interessa chi scrive, chi legge, chi promuove o si deve promuovere e dall’altra un flusso costante di fenomeni letterari. Altro elemento che condiziona la propensione all’accumulo, maggiore per l’ebook rispetto al libro fisico, è legato all’intangibilità del contenuto: nel digitale la percezione di spazio occupato, di presenza “reale” dell’oggetto da leggere è assai ridotta. L’incorporeità fa perdere il controllo visivo che siamo abituati ad avere sul libro (sul comodino, sugli scaffali, ecc.). Inserito in un contenitore che ne maschera la fisicità, il contenuto si può sottrarre alla vista: questo aspetto è parte integrante della spinta all’acquisto e modifica in profondità il sistema editoriale e la sua economia.

2. Lo scopo dei grandi player (Amazon, Apple ecc.), così come degli editori e dei distributori editoriali “indipendenti”, è vendere, vendere, vendere. Per vendere di più si cerca di dare al lettore ciò che vuole e per raggiungere lo scopo serve fare volumi, in senso di quantità. Nulla di anormale. La filiera editoriale è fatta di aziende che lavorano per il profitto, pagando stipendi, professionalità, strutture ecc. Come giustamente fa notare Gazoia, c’è un “però”: l’esclusiva attenzione al prezzo più basso e le questioni connesse a quale compenso debba percepire un autore per il suo libro occultano un nodo centrale e una difficoltà reale dell’editoria, ossia la promozione della lettura e del libro. Niente più prestito all’amico, niente (per ora) copie di seconda mano: sì, è vero, le biblioteche possono prestare ebook, così come diverse piattaforme di distribuzione digitale, ma il rientro nel mercato di un ebook già acquistato o più semplicemente il passaggio di un libro di mano in mano tra amici, tra lettori, subisce un brusco stop. Esistono alternative, usate soprattutto nell’editoria professionale e universitaria (Open Access, Creative Commons, Copyleft), che permettono a un contenuto di essere diffuso e condiviso con diverse articolazioni dei diritti d’autore: non è detto che questi modelli non possano trovare spazio e imporsi anche in altri campi della pubblicazione digitale. Il tempo ci saprà dire.

3. L’ammiccamento è la strategia adottata per conquistare il lettore. Ci provano i grandi player, i distributori, gli editori, gli autori (anche quelli del selfpublishing). D’altra parte gli strumenti per darsi da fare ci sono: le classiche recensioni, gli eventi, i blog e i social network. E ovviamente c’è il marketing. Un ammiccamento simile abbraccia anche i potenziali scrittori che sono invitati a far da sé, con i pro e i contro del caso. Fa parte della “cultura partecipativa” cui la rete in qualche modo ci sta abituando e che apre le porte a chiunque sia alla ricerca del quarto d’ora di celebrità, giocando con la diffusione virale e – perché no – fidelizzata delle storie. Il risultato può non rispondere alle aspettative degli autori e dei lettori, ma in ogni caso risponderà alle logiche di vendita. A dirla tutta, l’autopubblicazione digitale non è nata con gli ebook: i blog sono i padri dell’autopubblicazione. Avete presente quei diari o le raccolte di poesie e microstorie su web che tanto andavano di moda anni fa? Ecco, quella era una forma selfpublishing, libera, accessibile e gratuita. Ma quindi cosa sta cambiando? Ovviamente i blog continuano a esistere e, anzi, la tendenza è personalizzare sempre più la propria presenza in rete. La differenza maggiore è che esiste un modello di business legato ai contenuti: quelle raccolte di poesie e le microstorie digitali si possono vendere. A mio parere, la differenza maggiore sta però nel tentativo di far percepire come personale e intima la relazione lettore-venditore-autore. Per intenderci, si sposa bene con gli slogan “solo per te” e “anche tu puoi”. Qui sta appunto l’ammiccamento conquistatore.

4. Dobbiamo considerare un fattore di prospettiva dell’autopubblicazione: anche i contenuti digitali autopubblicati sono e saranno specchio del nostro tempo. Poco importa esprimere oggi un giudizio positivo o negativo sulla questione, perché di fatto anche il selfpublishing sarà un elemento attraverso cui i posteri potranno leggere e interpretare la nostra società, esattamente come noi facciamo con la lettura degli autori del passato. Ciò varrà sia per gli autori “nobili” sia per quelli non filtrati dagli editori, al di là del prezzo di copertina di un ebook o un libro, al di là del supporto elettronico su cui leggeremo. E non è che ciò sia meglio o peggio: semplicemente è. Siamo dentro questo tempo, immersi in questa trasformazione, e ci è difficile, se non impossibile, produrre un giudizio oggettivo. Possiamo solo analizzare quanto sta avvenendo per azzardarci a scegliere con maggiore consapevolezza.

Se l’intenzione del testo era rendere più consapevoli i lettori (e gli scrittori) di quanto avviene nella filiera editoriale alla luce dei cambiamenti che stanno caratterizzando il settore, il lodevole obiettivo è stato raggiunto.
Forse, ma dico forse, per chi lavora nell’industria del libro i contenuti saranno in buona parte già assai noti. Ciò non toglie che faccia bene alla sistema culturale e politico – in senso lato – del nostro Paese far conoscere al più vasto pubblico possibile quel che accade “dietro” un libro, digitale o meno, e più in generale in quale contesto si stia muovendo la realtà editoriale.
Ad ogni modo, possiamo stare tranquilli: la morte del libro non è ancora giunta e penso che tardi ad arrivare.

Il libro visto da Francoforte

Di ritorno da due giorni alla Buchmesse di Francoforte per ragioni di lavoro, riporto qui alcune riflessioni e appunti che ho raccolto prima, durante e dopo il viaggio in quello che senza dubbio è il tempio del mondo editoriale.

1. Il libro cartaceo è vivo e vegeto
Non mi è sembrato affatto che il libro sia un oggetto in via di estinzione e devo dire che leggere questo articolo sull’Economist non ha fatto che rafforzare e confermare questa mia impressione. Articolo beconomistreve, quasi una didascalia estesa di un’immagine che mostra le vendite di libri cartacei e digitali in U.S..A e in alcuni paesi europei (tra cui l’Italia) dal 2007 al 2018, quindi con una proiezione futura che prevede, solo per Stati Uniti e Gran Bretagna, un sorpasso del digitale sul cartaceo – senza però includere il settore professionale e scolastica, elemento di non poco conto.

Resta comunque il fatto che contrapporre i due supporti rimane una forzatura, come anche sottolinea molto bene Edward Nawotka in uno dei suoi editoriali francofortesi su Publishing Perspectives:

“Nella storia recente dell’editoria sembra essere dilagato un conflitto fomentato soprattutto dalla digitalizzazione: Amazon contro tutti, cartaceo contro digitale, editori contro self-publishing, libri contro gli altri media. Forse è stata la nostra immaturità digitale a condurci a una visione dove si vince o si perde soltanto?”

2. Alla ricerca di un nuovo modello di business: lo streaming è la via giusta?
Digitale o meno, è chiara ed evidente l’esigenza, per gli editori, di trovare un nuovo modello sostenibile, vuoi per affrontare la IMG_20141010_172249crisi strutturale che non è solo di settore, vuoi per ricavare nuova linfa vitale in un momento quanto mai confuso, pieno di rischi come però anche di possibilità. A questo proposito trovo notevoli le parole di Brian Murray, CEO di HarperCollins, il quale proprio a Francoforte ha rivelato che delle tre vie tentate dal suo marchio (il bundling, il print on demand e lo streaming), quella che con sua stessa sorpresa si è rivelata ad oggi vincente è stata proprio la partnership con Scribd.

“Questo modello – ha detto Murray – è adattissimo alla cosiddetta “coda lunga” e valorizza molto la backlist e il catalogo di un editore”.

Ma le parole di Murray che mi hanno colpito sono soprattutto queste: “Noi andiamo sempre avanti e vogliamo provare cose nuove: se qualcosa ha successo o fallisce, comunque impariamo nel corso del processo. Vogliamo essere i primi a imparare: se qualcosa funziona, lo rafforziamo e lo miglioriamo.”

Come anche sottolinea Nawotka nel suo editoriale, non è scontato sentire un manager editoriale parlare così, ma è così che bisognerebbe sempre ragionare, soprattutto in un momento come questo.

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La “classe del futuro” di we.learn.it

3. Educational: fermi tutti, prima la metodologia.
Parecchia attenzione anche all’educational (padiglione 4.2), ma la priorità quest’anno viene data non tanto alle ultime trovate tecnologiche (che del resto non ci sono), quanto piuttosto alla consapevolezza del fatto che l’uso delle tecnologie in classe resterà sempre limitato e poco incisivo se nel mondo degli atomi non si realizzano le condizioni adeguate per valorizzare le potenzialità offerte dai bit.
Non a caso lo spazio maggiore è stato dato al progetto we.learn.it dove si può sperimentare direttamente e concretamente la classe del futuro (niente file di banchi, spazi modulari, tanta sperimentazione e lavoro collaborativo); e non a caso uno degli speech più seguiti è stato quello dell’educatore finlandese Pasi Sahlberg, che ci ha parlato in maniera godibilissima e con grande competenza del modello educativo finlandese e di come esso sia perfettamente esportabile e imitabile, a patto di trasformare un sistema scolastico da competitivo a collaborativo, da standardizzato a personalizzato, da valutativo a responsabile, da elitario a equo. In tutto ciò l’innovazione è importante solo se essa è veramente integrata nel sistema educativo.

Per chi vuole approfondire i vari punti, ecco qualche link utile:
– sulla questione cartaceo-digitale e in generale sui nuovi modi di intendere scrittura e lettura digitale, c’è un’interessante dibattito scaturito da un post su facebook di Gino Roncaglia, il quale prende a sua volta spunto da questo articolo su Electric Lit.

– Del bundling mi sono occupato già in passato su questo blog, rinviando anche a post molto puntuali e specifici, vedi qui. Anche sullo streaming ho scritto spesso, l’ultima volta parlando del servizio Amazon Kindle Unlimited; segnalo per l’occasione un post recentemente comparso su pianetaebook che pone la questione su una prospettiva secondo me corretta e lucida.

– Infine, su scuola digitale e necessità di innovazione nel sistema scolastico stesso, rimando alla relativa sezione in questo blog. Non per egocentrismo, ma perché – e chi mi conosco lo sa – i miei post partono sempre da spunti trovati nel web che riporto e approfondisco.

Due o tre cose a proposito di “La vista da qui”

manteIeri ho finito La vista da qui, il libro di Massimo Mantellini  e ne ho scritto qualcosa su Medium. Se interessa, il pezzo è qui. Non è una vera e propria recensione, bensì alcune considerazioni incentrate su due argomenti che chi segue il mio blog sa che mi stanno particolarmente a cuore: didattica e tecnologie, lettura digitale. Siete avvertiti, quindi: se non interessa l’articolo, evitatelo senza problemi, non ci rimango male.

La questione Amazon – Hachette in 4 punti

Non pensavo di entrare nel dibattito della diatriba tra Amazon e Hachette e cercherò di farlo nella maniera meno intrusiva e più schematica possibile. 

Prima di tutto, i fatti: Hachette, per chi non lo sapesse, è uno dei Big Five, cioè i cinque maggiori editori degli USA (gli altri sono: Penguin Random House, Macmillan, HarperCollins, e Simon&Schuster) non allineati con Amazon, al quale non hanno tra l’altro concesso il loro catalogo per l’operazione Kindle Unilimited (di cui ho parlato nel mio post precedente). Ora Hachette è in guerra aperta con Amazon sulla questione dei prezzi e della ripartizione dei guadagni. Sulle ragioni, le cause e le conseguenze di questa lite, rimando all’impeccabile articolo di Letizia Sechi su Pagina99: Amazon vs. Hachette, perché si scontrano i colossi dell’editoria, a cui hanno fatto seguito molti commenti interessanti a cui farò riferimento nel corso di questo post.

La questione si pone su diversi livelli e si presta quindi a più piani di lettura. Estrapolerei quelli secondo me più sensibili:

1. Il prezzo degli ebook  Su questo si è pronunciato molto bene Fabrizio Venerandi di Quintadicopertina nel suo post La retorica di Amazon, in cui mette in evidenza le contraddizioni del colosso americano, ne smaschera alcune menzogne, e ribadisce, se ce ne fosse bisogno (e ce n’è) che l’ebook è il risultato di un processo elaborato che vede impegnate competenze e professionalità specializzate. Imporre un prezzo troppo basso all’ebook significa svilire questo processo e queste professionalità, nonché mettere in difficoltà l’editore erodendogli comunque un buon margine anche in assenza di spese di trasporto e magazzino. Qui il discorso però potrebbe ramificarsi e articolarsi ulteriormente, andando a toccare la questione del prezzo spesso inspiegabilmente alto di parecchi libri cartacei di scarsa qualità non solo contenutistica, ma proprio editoriale, la sua ricaduta sul prezzo del relativo ebook (spesso fatto anche peggio) e la questione dell’acquisto direttamente dall’editore, argomento che sarà affrontato in un punto successivo.

2. Le politiche editoriali – Qui si intrecciano alcuni post che affrontano vari elementi: l’intervento molto diretto ed esplicito di Amlo (che in modo forse un po’ riduttivo pone la questione come una “guerra tra ricchi in cui io sto per il più simpatico”) potrebbe in pratica essere sintetizzato dalla frase spesso ripetuta da Giuseppe Granieri “odiare Amazon non è una strategia“; ma il problema è appunto individuarla, una strategia, come giustamente evidenzia il post di Marco Ferrario, dato che, nel concreto, siamo di fronte a un fatto indiscutibile: piaccia o non piaccia, con metodi leciti, legali, corretti o meno, Amazon si è accaparrato una fetta enorme di utenti/clienti/lettori o come piace più definirli. Questo in primo luogo perché in ogni caso offre un servizio efficiente, economico e che in apparenza (ma all’utente finale il messaggio è questo) rispetta le esigenze dell’acquirente, che sostanzialmente sono: spendere meno, avere il prodotto in tempi rapidi e un servizio di assistenza che lo coccola. Qui si inserisce un altro punto, quello delle 

(3.) responsabilità dei clienti/lettori, di cui parla ampiamente eFFe su Doppiozero e su cui sarei anche d’accordo in linea teorica, ma su cui pongo a mia volta degli interrogativi:

– se è vero, come sembra, che Amazon sta in qualche modo “boicottando” i libri di Hachette fornendo un servizio meno rapido ed efficiente, gli utenti si indirizzeranno verosimilmente altrove, almeno per i libri di questo editore. Troveranno in questo altrove un grado di soddisfazione maggiore tanto da affidarsi al nuovo player anche per altri libri?
Restringendo questo discorso al contesto italiano, dove e come possono trovare un servizio che garantisca le stesse prestazioni di Amazon o almeno non le faccia rimpiangere troppo? Io, nel concreto, sono il primo a volermi affidare alla vendita diretta sui siti degli editori, soprattutto quelli come Quintadicopertina, :duepunti edizioni, o anche Minimum Fax e a chiunque mi dia file senza DRM che posso convertire in .mobi (o già convertiti) per il mio Kindle (ebbene sì, sto con il Grande Orco). Ma quante password e username dovrò utilizzare e soprattutto quante volte dovrò fornire (e diffondere) il numero della mia carta di credito per comprare i libri che acquisto mensilmente, se non settimanalmente? Qui si innesta bene ciò che propone Marco Ferrario: una piattaforma aperta alternativa ad Amazon (e magari migliore). “Subito, in fretta; non tra due o tre anni.” Questa proposta, tanto sensata quanto purtroppo destinata a restare vana, temo faccia dolorosamente il paio con quella di eFFe che giustamente individua nel lettore il nuovo attore della filiera editoriale e auspica che “una fetta sempre maggiore di lettori” decida “di guardarsi intorno e di scegliere non solo il contenuto ma anche la modalità dei propri acquisti. Alleandosi con editori meno altèri e più attenti ai servizi, reclamerebbero finalmente la centralità del loro ruolo nell’industria editoriale”. Si tratta di una sacrosanta richiesta di consumo critico che anche Flavio Pintarelli espone dettagliatamente nel suo post Amazon, io: lettura, scrittura, editoria e consumo critico, in cui introduce il quarto punto importante di tutta la questione: 

4. Nuove modalità di leggere e di scrivere – I dati sulla lettura di libri sono chiari quanto spietati: si comprano e si leggono meno libri, qui come altrove nel mondo: il problema è composito e da una parte il digitale non è tra le cause iniziali del fenomeno, dall’altra ha però apportato nuovi fattori che hanno trasformato e stanno trasformando il concetto di lettura e di scrittura. A questo riguardo non posso che ripetermi e ribadire il link a un ebook (da leggere anche gratuitamente online) dal titolo eloquente: Letture, contenuti e granularitàin cui si sono susseguiti e a volte alternati interventi di Venerandi, Ferrario, Roncaglia, solo per menzionarne alcuni. 

Come anche Flavio Pintarelli mette in evidenza nel suo post, non si tratta di una questione solo “tra ricchi” e solo riguardante prezzi e distribuzione di semplici “libri”, siano essi in bit o in atomi: dobbiamo ormai convivere con l’evidenza che la lettura e la scrittura (e la cultura, l’informazione, il modo stesso in cui sono veicolate e fruite) stanno subendo una mutazione ancora da comprendere e interpretare, ma la cui comprensione e interpretazione sono necessarie quanto urgenti, pena l’inaridimento di uno scenario già di per sé sempre più povero e il rischio di una “distrazione di massa” che alterna un post di facebook  a un link che rimanda a sua volta a un articolo, e questo contiene un video, che contiene un riferimento e infine ti vendono l’ultima versione di Candy Crush e ti ritrovi a giocare senza nemmeno capire perché lo stai facendo. 

Si badi bene, io non sono del tutto d’accordo con le tesi di Casati che vede nei tablet più un ordigno che una risorsa: ma è vero che ci troviamo di fronte a una disgregazione del concetto di messaggio, il quale è multicanale, reticolare, frammentato e a sua volta deve competere non solo e non più con altri testi, link, video, ma anche con Angry Birds e i suoi ultimi aggiornamenti. In questa estrema quanto concentrata convergenza in cui tutto è nelle nostre mani, è quanto mai necessaria un’ecologia della lettura (e della scrittura) che possa portare a un nuovo modello efficace dal punto di vista culturale e comunicativo, sostenibile dal punto di vista dell’industria editoriale, proficuo per quanto riguarda l’utente stesso, che a sua volta ne sarà il protagonista. 

Si tratta insomma di grandi temi, che non possono essere risolti se non con una difficile quanto necessaria alleanza tra editori, autori, lettori, distributori. Altrimenti Amazon vincerà sempre, e di più. 

Amazon senza limiti e i limiti del digitale

Kindle-UnlimitedSenza dubbio l’argomento della settimana è l’annuncio dell’avvio di Kindle Unlimited, il servizio di lettura in streaming che “quelli di Seattle”, come ormai vengono chiamati i capoccioni di Amazon, hanno deciso di varare sin dal prossimo autunno. Chi si abbonerà al servizio avrà a disposizione oltre 600 mila titoli (precisamente 645.790), di cui oltre 2000 audiolibri.
Questi sono ovviamente i numeri del mercato americano (e il costo sarà di 9.99$), poi negli altri stati ci si adeguerà al numero degli ebook (e degli editori) disponibili. Infatti sin dall’inizio sono fuori i “big five”, cioè i cinque editori più importanti del continente americano (Penguin Random House, Macmillan, HarperCollins, Hachette e Simon&Schuster), cosa non trascurabile. Chissà poi che ai grandi cinque si aggiungano strada facendo anche altri marchi editoriali europei (anche se l’ipotesi sembra meno plausibile).

Della questione dei big five e di altre perplessità legate all’operazione trovate un resoconto molto esauriente in un articolo su ilmiolibro.it, mentre un ottimo articolo di David Gaughran pone alcune importanti domande che l’operazione Amazon inevitabilmente fa sorgere ad autori, editori e lettori.

La prima domanda riguarda infatti proprio gli autori: quanto saranno pagati per ogni libro scaricato (non potendo parlare di vendita vera e propria, si tratta infatti di un prestito a condizioni molto particolari)? La cosa ancora non è chiara, anche se Michael J. Sullivan su Digital Book World parla senza mezzi termini di un sistema che creerà degli “autori di serie B” e precipuamente gli autopubblicati, che Sullivan vede nettamente discriminati rispetto agli editori tradizionali.

Un’altra importante questione è se il servizio streaming cannibalizzerà le vendite tradizionali: su questo Gaughan ha idee più chiare: “sembrerebbe naturale pensare che le vendite saranno erose, ma Kindle Unilimited potrebbe anche aumentare le fette di torta da spartire. Non sappiamo poi come sarà accolto dai lettori, ma mi stupirei molto se risultasse un flop”. La vera questione è, conclude Gaughan, che tipo di lettore sarà quello che verrà attratto da questo servizio.
E soprattutto (è una delle “key questions” del pezzo) che tipo di lettura ci riserva il futuro. Giustamente Gaughan rileva le notevoli differenze che ci sono tra lo streaming musicale e quello che riguarda la lettura. Inoltre, rileva altrettanto giustamente, bisogna considerare gli oltre duemila audiolibri che Amazon ha già inserito nel servizio e che presumibilmente aumenteranno, tenuto anche conto che il mercato degli audiolibri sta vivendo una grande rinascita (si parla di +24% a quadrimestre, negli USA).

Gli audiobooks saranno anche probabilmente determinanti nella competizione tra  Kindle Unlimited e i servizi analoghi di Scribd e Oyster. Questi ultimi hanno dalla loro i sopra menzionati “big five”, ma è pure vero che Amazon può contare su decine di milioni di dispositivi Kindle pronti per ospitare il suo servizio.

In questo modo non si svaluta il libro? si chiede ancora Gaughan, ma nel giro di due righe si dà la risposta, decisa e senza remore: no. “Non più di quanto succeda ora con i tascabili, i megasconti della grande distribuzione, i banchetti dell’usato.”

Come sarà considerato il prestito dall’algoritmo Amazon? Probabilmente ogni prestito sarà equiparato a una vendita, per ragioni di ranking. Per ora il prestito prevede fino 10 libri alla volta senza scadenza per la restituzione e un numero illimitato di libri al mese. Potenzialmente, gli algoritmi avranno parecchio lavoro.

Per gli scrittori che si autopubblicano sarà conveniente partecipare a questo servizio? Sarà una vetrina importante anche per i “minori” o solo un’ulteriore occasione di guadagno per i soliti noti del self publishing? Gaughan, nemmeno troppo sommessamente, teme che la seconda ipotesi risulterà quella più probabile, ma certo sembra come sempre meglio esserci, per ragioni di visibilità, reperibilità, ranking. A mio parere potrebbe anche essere un modo per gli editori di cercare nuovi autori, magari proprio tra i self-publisher, e con un costo minimo (10 dollari al mese) poter sfogliare centinaia di libri che potranno essere i best seller di domani.

L’unica cosa certa è che il modello streaming si sta sempre più imponendo e il fatto che si sia mosso un gigante come Amazon avrà sicuramente ripercussioni su tutto il sistema editoriale e culturale legato al libro (qualsiasi cosa questa parola ora significhi). Si tratta, è bene notarlo, di una ulteriore e progressiva dissoluzione del concetto di “possesso” di un libro a favore di un modello in cui il fornitore concede l’utilizzo temporaneo di un contenuto che il lettore/utente in realtà non possiede né possiederà mai. Si tratta di un modello e di un concetto sbagliato, fuorviante, pericoloso? Alcuni dicono di sì, per molti invece la questione non si pone, dato che è la direzione del futuro e metterla in discussione non servirebbe a nulla.

A questo proposito vi lascio con due link che trattano proprio l’annosa e dibattuta questione sui vantaggi e gli svantaggi delle due modalità di lettura. Da una parte Loredana Lipperini in un articolo intitolato Sincronicità e mutazioni della lettura fa il punto della situazione con rimandi aggiornati ai testi più importanti sull’argomento; dall’altra un interessante articolo uscito sul Financial Times è stato tradotto e riportato integralmente su ebookextra.it (Non sarà una battaglia tra schermo e carta). La conclusione dei due articoli, in somma sintesi, è pressoché la stessa: la lettura digitale è un fatto che non serve ostacolare, ma utilizzare e indirizzare al meglio.
Se non si entra in questo ordine di idee e si resta ancora alla diatriba meglio la carta o il digitale, si perderanno molte occasioni. E molte buone letture, aggiungo io.