giornalismo e web: uno scontro impari?

Nell’ormai lontano 2010 avevo iniziato questo blog proprio con due post dedicati all’editoria periodica (e quindi al giornalismo) ai tempi del digitale in cui emergeva già con chiarezza il dilemma fondamentale ancora irrisolto: quale modello di business trovare in un’epoca di abbondanza di notizie e soprattutto di reperimento gratuito delle stesse, spesso e volentieri elaborate da non professionisti del settore ma non per questo meno attenti e attendibili.
Ecco, sull’attendibilità e sulla questione sempre sollevata della necessità di fonti affidabili, vidimate e in qualche modo autorevoli dedico una breve parentesi, solo per dire che se abbiamo avuto spesso e volentieri casi di notizie imprecise se non false, parziali se non tendenziose, è stato proprio ad opera di testate giornalistiche e professionisti del settore, tanto che non di rado sono stati privilegiati come fonti più attendibili blogger che si trovavano in condizione di descrivere meglio i fatti. E’ capitato per il terremoto in Giappone, per esempio, ma anche per la recente crisi economica greca. Ma questo, mi rendo conto, è un terreno spinoso su cui preferisco non addentrarmi, almeno non ora.

Per quanto riguarda invece la crisi della carta stampata, se ne parla appunto non da oggi, ma è stato proprio negli ultimi giorni che se ne è scritto parecchio, come un focolaio di nuovo risvegliato. Ha iniziato il solito, preciso, ineffabile Giuseppe Granieri con un bell’articolo sulla Stampa in cui, dopo aver introdotto l’argomento citando un pezzo di Frédéric Filloux comparso anche su Guardian, dice due cose secondo me molto importanti: “Non è solo il supporto che cambia: prima di tutto cambiano i lettori e le loro aspettative, poi -tessera dopo tessera del domino- cambia tutto il resto.” E poi, citando direttamente Filloux: «i media digitali  oggi devono essere capaci di inventare il loro nuovo “genere” giornalistico.»

E proprio in questi giorni è uscito un libro che fa un po’ il punto sullo stato delle cose: News paper Revolution, di Umberto Lisiero, è copertinaun’ottima bussola per iniziare a navigare nel mare magnum del giornalismo 2.0, partendo dalle sue origini fino ad arrivare alla situazione attuale e alle ricadute sulla professione di giornalista oggi. Anche qui, comunque, il perno intorno al quale ruota tutto è il modello di business da applicare ad un sistema che soffre di un’inquietante emorragia di ricavi e che vede testate storiche come il Corriere e l’intero gruppo RCS periodici di fronte al problema di ben 800 esuberi. Per non parlare della BBC, del New York Times stesso, o di riviste come il Newsweek che dal 2013 esce solo in versione online.

Anche Luca De Biase si interroga sulla questione, riprendendo a sua volta il punto di vista di Granieri e lasciando sospesa la figura del giornalista tra la necessità emergente di essere un abile aggregatore o content curator e quella, storica e sociale, di fare ricerca sull’informazione.

Molto acuto anche questo articolo sui social e il giornalismo di Luisa Santangelo, che cita diversi libri sull’argomento e in modo estremamente chiaro ed efficace mette in evidenza la sostanziale  difficoltà di gran parte dei giornalisti italiani nel rapportarsi con il nuovo paradigma imposto dal web.
Su web e giornalismo, poi, è uscito da poco l’ebook Il web e l’arte della manutenzione della notizia di Alessandro Gazoia (alias Jumpinshark), di cui è possibile degustare un allettante assaggio in questo spazio sul Post.
Interessante anche una serie di articoli su European Journalism Observatory in cui vengono intervistati sull’argomento Massimo Mantellini (Punto Informatico) e Carlo Giua (Gruppo Editoriale L’Espresso).

Sempre su EJO, da leggere un articolo dove vengono menzionati esempi di strategie alternative che sembrano funzionare: si tratta finora di casi sporadici, ma che dimostrano quanto sia necessario un presupposto: “essere disposti a cambiare, mettere in discussione il passato e avere immaginazione.”

Ne parla anche Editoria Crossmediale suggerendo la via di “contenuti sempre più di qualità e, soprattutto, sempre più personalizzati”, cosa che mi ha fatto ricordare un post molto arguto comparso tempo fa su Apogeonline in cui si dà anche un nome a questo tipo di produzione: unità funzionali minime di contenuto”. L’autore dell’articolo, Ivan Rachieli, suggerisce giustamente di “procedere per riduzioni” fino ad arrivare a “pubblicazioni periodiche molto brevi, composte di pochi, curatissimi contributi di alta qualità.”

Personalmente penso che questo sia il punto di partenza da cui iniziare a lavorare e procedere poi per affinamento, taratura, pesi e contrappesi da applicare per diversificare la proposta editoriale e il modo di articolare i ricavi.
Una sfida tanto impegnativa quanto, penso, avvincente, ma da intraprendere – e vincere – prima che altri operatori del settore perdano il proprio lavoro.

Un pensiero su “giornalismo e web: uno scontro impari?

  1. Al tropico ci proviamo (non so, forse ci leggi già): in redazione si è deciso per articoli lunghi, su tematiche editoriali che cerchiamo di approfondire per dare ai lettori le informazioni che ci sembrano più importanti, in maniera il più possibile completa. Purtroppo, la cosa paga, per ora, solo in visibilità e numero di lettori e condivisioni, per i ricavi ci stiamo attrezzando. 🙂
    http://www.tropicodellibro.it

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...