Il mio librinnovando: la didattica

Dopo il post relativo alla sessione sul prezzo degli ebook (se lo avete perso, è qui), continuo, come promesso, con le sintesi degli altri due panel da me seguiti: quello sulla didattica e la ricerca e quello su librai e librerie nel digitale.

Il Digitale per lo studio e per la ricerca

Già l’amica (e soprattutto insegnante 2.0) Emanuela Zibordi ne ha parlato nel suo blog (che consiglio di seguire a prescindere) e, sebbene il suo post sia circoscritto all’intervento di Gino Roncaglia, effettivamente il centro di gravità di tutto l’incontro è stata proprio la sua relazione, quando invece gli altri relatori-editori si sono limitati a presentare i loro prodotti, alcuni in maniera (fin troppo) spudorata, altri almeno introducendo qualche elemento pertinente all’argomento del panel e mostrando come il loro marchio intende interpretare questo passaggio (che lo si voglia o no, obbligato) alla cosiddetta didattica 2.0.
La mia considerazione principale verte proprio su questo aspetto, o meglio la sua mancanza: paradossalmente, il grande assente del dibattito è stata proprio la didattica (tant’è vero che non c’era nemmeno un insegnante sul palco), o meglio le modalità attraverso cui poter usare e sfruttare al meglio le varie app e ambienti di apprendimento presentati. Sul piatto infatti sono state poste l’app Pandora Campus da parte del Mulino, ancora allo stato embrionale (ma che comunque ricorda molto Bookliners, solo in chiave didattica), mentre Pearson Italia ha parlato della loro Internet Tablet Edition, ambedue all’insegna della co-creazione di contenuti, funzioni di ricerca e appunti, personalizzazione in Cloud. Insomma, materiali multimediali, interattivi e social, dove l’attenzione è incentrata sull’apprendente e l’intento quello di fornirgli gli strumenti per sviluppare capacità critica, competenza ancora poco considerata dalla didattica tradizione, più erogativa e standardizzata che personalizzata e condivisa.
A questo proposito, lo stesso Roncaglia ha messo in evidenza la necessità di prendere come punto di partenza necessario e ineludibile il libro di testo, a patto che sia autorevole, validato e con una buona costruzione editoriale. I libri di testo potranno – e dovranno – poi essere integrati e “accresciuti” (enhanced) in tablet e ambienti di apprendimento a loro volta aperti e comuni, pena – aggiungo io – una situazione paradossale dello studente che studia su sei libri di testo di sei editori diversi usando sei piattaforme diverse.
E’ vero che, per esempio, la piattaforma proposta dal Mulino è aperta anche ad altri editori, tuttavia alla fine dell’incontro mi è rimasta l’impressione che (anche) nel digitale gli editori non fanno sistema, ma creano il proprio recinto/modello, in stile un po’ feudale.
E del resto è altrettanto vero che, come è stato twittato durante il dibattito, le piattaforme aperte già ci sono (perché, per esempio, non bussare alla porta di Bookliners per inserirsi e implementarla con funzionalità specifiche della didattica?); crearne di nuove sotto il marchio del proprio brand sembra non solo molto costoso e molto superfluo, ma si rischia in questo modo di non concentrarsi sulla didattica. Che ritorna di nuovo in evidenza per la sua assenza.
Speriamo di ritrovarla alla prossima edizione.

6 pensieri su “Il mio librinnovando: la didattica

  1. Stiamo preparando schede per seminari sul Talento femminile rivolto alle artiste e autrici, che potrebbe diventare un libro per formare l’autrice. Cinema teatro, narrativa, arte, poesia, narrativa :tutto al femminile.

  2. “Le piattaforme aperte già ci sono […] crearne di nuove sotto il marchio del proprio brand sembra non solo molto costoso e molto superfluo, ma si rischia in questo modo di non concentrarsi sulla didattica.”

    Sono assolutamente disgustato da come nessuno abbia toccato questo tema, vista anche la situazione di emergenza economica permanente del comparto scuola. (Roncaglia l’ha accennata, ma senza troppa enfasi.)

    Oltretutto, chi crea queste “piattaforme” semi-proprietarie (alla iBookstore, per capirci) con dei gatekeeper ben poco “neutrali” (gli editori stessi) si espone ad un bel rischio imprenditoriale: che il legislatore, come avrebbe gia’ dovuto fare da anni, richieda PER LEGGE l’adozione di contenuti, piattaforme e formati aperti. Queste sperimentazioni di “giardini recintati” (per quanto “condominiali”, anziche’ “privati”) generano brutti pensieri circa il livello di “riparo” che le case editrici ritengono di avere hanno nei confronti dell’azione del legislatore/controllore.

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